1
Cazzo!
La
cantina inizia a girare, forma un vortice e prova a risucchiarmi. Le
punte dei capelli schizzano in aria, attirate dal centro della
spirale.
Eh
no, stavolta non me la caverò con quella specie di post sbronza
delle altre volte.
Stringo
i braccioli come fossi sulle montagne russe. Il dolore alla scapola
mi fa impazzire, la vecchia sta usando la sabbia per tatuarmi?
Per
fortuna oggi dovrebbe finirlo…
L’odore
d’incenso e spezie mi riempie le narici e quella nenia ritmata, che
continua a recitare, mi fa venir voglia di strapparmi le orecchie. O
di strappare la lingua a lei…
Ho
freddo.
La
sedia traballa, il vortice è sempre più forte.
Vorrei
urlarle di smetterla con quell’ago del cazzo, ma non controllo più
la bocca.
Che
sta succedendo?
Da
lontano proviene un rumore profondo e sincopato: sembrano tamburi.
Mentre
la situazione assume contorni sempre più surreali, riesco solo a
pensare a nonna che mi ripete di non fidarmi degli sconosciuti.
Certo, avrebbe potuto specificare che anche le vecchiette sono
pericolose, soprattutto quelle che parlano di esoterismo, di streghe
e ti invitano in cantina per un tatuaggio…
I
tamburi hanno avuto il pregio di coprire la cantilena, ma ormai vedo
solo un vortice di colori.
La
sedia si ferma, il vento non soffia più.
Sono
leggera.
…
2
Niko,
il manico della padella stretto in mano, sollevò lo sguardo
sull’orologio appeso alla parete. Entrambe le lancette nere puntavano
il dodici dipinto a mano sul piatto raffigurante due trulli. Sua
mamma teneva molto a quel cimelio di Alberobello e, nonostante fosse
a ottocento chilometri da lì, sembrava potesse percepirne la
presenza. Le rare volte che lui l’aveva sostituito con un più
consono skyline londinese, puntuale, era arrivata la chiamata
preoccupata di lei.
«E
anche stasera si mangia soli…» bofonchiò Niko poggiando la
pentola sul fuoco.
Afferrò
la bottiglia d’olio, sporcò appena il fondo in metallo e, prima che
il liquido diventasse troppo caldo, gettò sopra uno spicchio
d’aglio.
Il
rumore della chiave che entrava nella toppa richiamò la sua
attenzione. Si voltò giusto in tempo per vedere la porta d’ingresso
spalancarsi.
La
schiena piegata in avanti, lo sguardo al pavimento e i lunghi dread
biondi che le coprivano il volto, Soti irruppe in casa.
Niko
mollò tutto e corse verso di lei. La raggiunse, le infilò un
braccio sotto l’ascella e le cinse il fianco nel momento in cui si
abbandonava.
Nonostante
fuori ci fossero almeno quaranta gradi, era fredda.
Ringraziò
il cielo che, almeno, Soti pesava poco.
La
trascinò fino al divano e la fece sedere. Come aveva già fatto
troppe volte negli ultimi giorni, le sfilò le scarpe rosse di
tessuto.
Niko
indietreggiò di mezzo passo e inspirò profondamente: la situazione
gli stava sfuggendo di mano, Soti era messa peggio delle altre volte.
Le
calze a rete erano strappate all’altezza del ginocchio, ma per
fortuna non c’erano tracce di sangue. I pantaloncini di jeans,
talmente corti che avrebbe causato uno scandalo della durata di un
anno ad Alberobello, erano macchiati sul fianco. Solo il giubbotto in
pelle sembrava integro. Lo sfilò e, per la prima volta, si accorse
di un tatuaggio sulla scapola che raffigurava un sole.
Le
adagiò la testa sul bracciolo, aiutandola a sdraiarsi. Con le dita
tese, scostò il pugno di dread che le copriva il volto.
«Hey,
Soti» la chiamò con voce tremula.
«Sotiria,
sveglia!» riprovò.
Con
la mano libera le carezzò la guancia, cercando di trasmetterle un
po’ di calore.
Gli
occhi della ragazza tremarono e si schiusero mostrando le iridi
azzurre immerse in un mare rosso di sangue.
«Brucia…»
sussurrò lei, muovendo appena le labbra.
Niko
si piegò in avanti per comprendere meglio la voce esile.
«Hai
caldo?» le chiese, credendo così di dare un senso ai vestiti
bagnati.
«La
pentola…» Soti sollevò appena la mano e indicò un punto alle
spalle dell’amico.
Niko
scattò in piedi, trattenendo un’imprecazione tra i denti serrati, e
si voltò. Il piano cottura era scomparso dietro un nuvolone scuro:
quella sera avrebbe saltato la cena.
3
Aver visto Niko mi rincuora, anche se non capisco che mi sta
succedendo.
Ho come la sensazione di continuare a entrare e uscire dal mio
corpo. Quando sento di poter riprendere il controllo, come pochi
attimi fa, il freddo mi aggredisce. Ma dura poco, il vortice torna e
diventa tutto impalpabile.
L’unica nota positiva è che Niko non mi spedirà in ospedale, le
istruzioni che la vecchia mi aveva detto di dargli erano precise.
No Pronto Soccorso.
Niente medici.
Solo riposo.
Ammetto che mi erano sembrate esagerate come indicazioni, ma la
vecchia era sempre stata così carina…
In questo momento rimpiango la mia passione per l’occulto, ma
cavolo quant’erano belle quelle reliquie.
Come una tossica che fiuta lo spacciatore, quando l’ho incontrata
al parco ho notato subito il ciondolo a forma di ragno stilizzato al
collo della vecchia e da lì sono partiti fiumi di parole tra noi.
Scoprire che anche lei era di Alberobello mi ha fatto abbassare le
difese.
Vai a sapere che nel giro di tre giorni mi avrebbe conciata così.
Il freddo torna, sto per rientrare nel mio corpo. Eppure c’è
qualcosa di strano, non mi sento… a casa.
Una luce mi abbaglia.
Attorno a me qualcuno parla di vacanze fatte, o da fare.
Non riconosco le voci.
C’è odore di candeggina.
Una mano blu compare dal nulla e intralcia la luce che sembra
provenire da una lampada circolare.
Una mascherina mi copre naso e bocca.
«Dottore, partiamo con l’anestesia?» chiede la voce giovane di
una ragazza.
«Sì.»
Tutto diventa buio.
4
Soti,
sdraiata sul divano, aveva smesso di agitarsi. In un primo momento,
Niko aveva avuto l’istinto di portarla in Pronto Soccorso ma si era
fermato, sapeva che l’amica non avrebbe apprezzato.
Sbuffò
e afferrò il tramezzino che si era preparato: prosciutto,
caciocavallo e maionese. Un toccasana per riprendere lo studio
notturno.
Spalancò
la bocca e pregustò il pasto. Due colpi secchi alla porta d’ingresso
lo bloccarono.
«Vediamo
chi è arrivata per prima…» Adagiò il panino sul tovagliolo
aperto sul tavolo e si alzò.
«Arrivo!»
Attraversò
la stanza, fece girare le chiavi nella toppa e aprì.
«Che
succede stavolta?» Aminah irruppe in casa. Si guardò attorno e
puntò decisa il divano.
«Da
quanto sta così?» chiese, poggiando la borsa da medico, che teneva
in mano.
Niko
guardò l’orologio sul muro.
«Quindici
minuti» rispose, impalato sulla porta, mentre l’amica premeva
l’indice e il medio sul polso di Soti.
Era
felice fosse lei la prima a essere arrivata. Da anni aveva una cotta
per Aminah e non gli dispiaceva vederla piombare in casa in piena
notte. Aveva sempre sognato il momento in cui, coraggio alla mano,
l’avrebbe fissata negli occhi verdi incassati nel viso d’ebano, così
duro nei lineamenti eppure altrettanto affascinante, e le avrebbe
chiesto di uscire con lui.
Ma
non l’aveva mai fatto e, per ora, doveva accontentarsi di quelle
visite d’emergenza.
«Spostati!»
Stella
urtò Niko con la spalla, lo fece arretrare di qualche passo e
irruppe in casa,.
La
migliore amica di Soti corse al suo capezzale.
«Come
sta?» chiese ad Aminah.
«I
parametri sono buoni, però devo sapere cosa si è calata…»
«Nulla!»
Stella, con fare drammatico, si ritrasse e portò la mano al petto.
Il seno prosperoso, coperto dal vestito a fiorelloni lungo fino alle
caviglie, sobbalzò.
«Non
ne ho idea, ha giusto fatto in tempo a entrare in casa, poi è
svenuta» rispose Niko, chiudendo la porta di casa.
«Ditemi
almeno che le avete fatto fare quei prelievi…» disse Aminah
scuotendo il capo.
Niko
abbassò lo sguardo per sfuggire a quegli occhi che tanto gli
piacevano ma che, in quel momento, fiammeggiavano d’ira.
Stella
iniziò a giocherellare con la collana.
«Non
è difficile. Avete l’impegnativa, dovevate solo portarla a fare quel
cavolo di prelievo. Vi chiedo troppo?»
«No»
sussurrò Niko, fissandosi la punta delle scarpe.
«A
dire il vero, Soti ha detto niente ospedali… e niente medici!»
Stella mollò la collana e si mordicchiò il pollice.
«Non
sono ancora un medico, mi mancano tre esami.» Aminah lanciò
un’occhiataccia all’altra ragazza. «Però una cosa la so anch’io:
Soti non può stare qui, dobbiamo portarla in Pronto Soccorso!»
«No!»
Questa volta il diniego di Niko arrivò quasi urlato. «Lei non
vuole!»
«Perché?»
«Perché
non crede alla medicina tradizionale» Si intromise Stella.
«Veramente
quella sei tu…» Niko si pentì immediatamente di aver pronunciato
quella frase.
Il
volto di Stella divenne rosso fuoco, assunse dodici espressioni
diverse che andavano dallo sconcerto all’ira, e si stabilizzò sulla
modalità stizzita. Sollevò il mento e guardò un punto imprecisato
dall’altra parte della stanza.
«Io
e Soti siamo grandi amiche, per questo abbiamo idee simili…»
Niko
si limitò a scuotere la testa.
«Mettiamo
caso che non si tratti di droghe…» riprese a parlare Aminah
«potrebbe essere epilessia. Ci sono tante forme che non prevedono
crisi tonico cloniche…»
La
studentessa di medicina si alzò in piedi si parò davanti a Niko.
Era più alta di lui di almeno dieci centimetri. Gli poggiò una mano
sulla spalla e si fece ancora un po’ avanti.
«Dammi
retta, non è come le altre volte. Non risponde allo stimolo
doloroso, dobbiamo portarla in ospedale.»
Niko
abbassò nuovamente lo sguardo, indeciso.
«Chiamo
il 112?» chiese Aminah.
«Ti
ho detto di non farlo» rispose Stella.
5
Esplosioni di luci colorate mi abbagliano.
Fluttuo distante dal mio corpo.
Non sono più in ospedale, attorno a me percepisco altre persone.
Niko e il suo calore quasi fraterno. Aminah e la sua volontà
ferrea. Stella e la sua esuberanza.
E poi… c’è qualcosa che non comprendo. Nonostante la presenza
dei miei amici non mi sento al sicuro: qualcosa mi sorveglia.
È una presenza ingombrante.
C’era anche quando ero sdraiata in quella sala operatoria, ne sono
certa.
Dev’essermi rimasta aggrappata addosso.
Ho di nuovo freddo e la scapola ricomincia a farmi male.
Possibile che io sia morta?
Spero per lei che sia così, altrimenti quella vecchiaccia avrà
parecchie cose da spiegarmi…
6
Niko,
seduto su uno sgabello nella sala d’attesa del Pronto Soccorso,
accanto alla macchinetta degli snack, era impegnato a spolparsi le
nocche: Aminah non era ancora tornata.
L’unica
nota positive era che Stella, infuriata con loro, cercava di sbollire
la rabbia consumando le scarpe a furia di passeggiare nel parcheggio.
Una
ragazza, all’incirca della sua età, dormiva rannicchiata su una
sedia. Di tanto in tanto un uomo, probabilmente suo padre, arrivava
portandosi dietro l’odore di tabacco, le si avvicinava e sistemava la
giacca con cui l’aveva coperta.
Con
lamenti continui, e fitte sempre più forti, lo stomaco protestava
per l’assenza di cibo.
Niko
infilò per l’ennesima volta la mano in tasca e rovistò alla ricerca
di una moneta che sapeva di non avere. Corrugò la fronte e lanciò
un’occhiataccia al cambia monete con il display rosso del “Fuori
servizio”.
La
porta della zona emergenze si spalancò e uscì Aminah.
Si
era infilata il camice bianco che usava per il tirocinio ed era
ancora più bella del solito.
La
ragazza lo raggiunse.
«Stella
non è ancora rientrata?» chiese.
«No,
lo sai che è contro gli ospedali…»
«Già…»
Aminah si guardava attorno, come se controllasse che non ci fosse
nessuno. «Recuperala, ci vediamo all’ingresso dipendenti…» disse,
mordicchiandosi il labbro inferiore, e si voltò per allontanarsi.
Niko
si sporse in avanti e l’afferrò per il polso.
«Sta
bene?» chiese.
Non
era abituato a vedere l’amica così nervosa.
Aminah
si passò la lingua sulle labbra, inspirò profondamente e lo guardò
di tralice.
«C’è
qualcosa che non mi torna, per questo ho bisogno di voi…»
7
Cazzo!
Lo sapevo.
Solo io riesco a infilarmi in queste situazioni di merda.
Mi sono fatta abbordare al parco da una vecchia pazza, l’ho
ascoltata farneticare di magia, forze oscure, streghe… devo aver
detto anche qualcosa tipo: “Anch’io voglio essere una strega”.
Ma come ho fatto ad accettare di farmi tatuare?
Nel suo scantinato poi…
Devo avere la malaria, o qualcosa del genere.
Forse il tetano…
Però devo ammettere che non è male come tatuatrice; nonostante
le manine rachitiche e un accenno di parkinson, ieri ho intravisto il
disegno incompleto sulla scapola, allo specchio, e mi piaceva.
Peccato solo che ora sia prigioniera in questo nulla.
C’è stato un momento in cui ho creduto di riprendere il possesso
del mio corpo. Poi è sparito di nuovo tutto.
Mi sento come se fossi chiusa in una scatola e fuori ci fosse
qualcosa di brutto a fare la guardia.
8
Niko
conosceva l’ingresso dipendenti dell’ospedale perché ci aveva
accompagnato qualche volta Soti. Quando arrivarono davanti alla pota
a vetri, Aminah li stava già aspettando.
«Adesso
mi dici cosa sta succedendo!» esordì Stella, le mani ai fianchi e
la testa che ciondolava.
«Vi
spiegherò tutto mentre andiamo…»
«Dove?»
chiese Niko, ma le due ragazze erano già entrate. Dovette correre
per raggiungerle.
«Ho
una buona notizia: tutti gli esami di Soti sono negativi.» disse
Aminah accompagnandoli lungo il corridoio che univa il corpo centrale
dell’ospedale al Pronto Soccorso.
«Te
l’ho detto che non serviva portarla qui…» Stella gonfiò il petto
in segno di vittoria.
«Già,
inizio a crederlo anch’io…»
Niko
quasi trasalì sentendo Aminah dare ragione all’amica.
«Fatto
sta che c’è qualcosa che non mi torna. Tramite un amico ho letto la
cartella di Soti e non riesco a capire perché l’abbiano portata in
sala operatoria.»
Niko
andò a sbattere contro Stella, che si era bloccata di colpo.
«Cosa
vuol dire sala operatoria?»
«Vogliono
operarla, ma non riesco a capire il motivo. Ho chiesto al mio amico
ma non ha saputo spiegarmelo.»
«Chi
la deve operare? Chiedi a lui…» a Niko sembrava una soluzione così
semplice.
«Avrei
voluto farlo, ma non sapete quanto è stronzo il chirurgo. Lo odiano
tutti e si dileguano quando avvistano il suo ciuffo rosso nei
corridoi. Non c’è modo di chiedergli un favore.»
«Quindi,
che facciamo?» Stella sembrò destarsi e ricominciò ad agitare la
mano davanti al viso.
«L’unica
cosa in nostro potere: Niko, suo fratello, chiederà un colloquio!»
«Ma…»
provò a protestare lui.
«Non
ti preoccupare, ho il foglio firmato dalla guardia che ha verificato
la tua identità…» Aminah abbozzò un sorriso. «Non so perché,
ma in ospedale mi adorano tutti.»
Il
cinguettio di Aminah colpì Niko al cuore, dilaniandolo.
9
Sento il mio corpo vicino.
Sono ancora viva, ma non riesco a muovermi.
Devo essere in coma.
Qui da qualche parte dovrebbe esserci il tunnel da seguire…
O forse non andava seguito?
Poco male, tanto sono ferma in questo non mondo, che mi flesha
luci in faccia nemmeno fossimo a un rave.
«Chi sei?»
O porca puttana, e adesso da dove arriva ‘sta voce?
«Sento che ti stai formando, è stata una fortuna incontrarti
mentre sei in incubazione…»
Okay. Senti, Vocina nella testa, io non ho la più pallida idea di
dove mi trovi, ma tirami subito fuori di qui!
«Certo che lo farò, ma non credo ti piacerà…»
Ci mancava solo la vocina stridula che mi minaccia…
10
«Chi
è?» una voce maschile gracchiò dal citofono della sala operatoria.
Niko
inspirò profondamente e fissò le due amiche, che annuirono.
«Sono
il fratello di Sotiria Giannasso…»
I
pochi secondi di silenzio che seguirono furono i più lunghi della
vita di Niko.
«Cosa
vuole?»
«Come
cosa vuole? Apra la porta o la sfondo!» Stella era paonazza in volto
e aveva gli occhi fuori dalle orbite.
«Non
c’è bisogno di alterarsi. Arrivo…»
Un
rumore secco chiuse la comunicazione.
«Ma
vedi un po’ ‘sto qua…» Stella sferrò un pugno all’aria. «Fanno
di quelle domande che ti vien voglia di…»
«Ti
pregherei di non pestare nessuno. Io vorrei laurearmi…» Aminah
fece spallucce e si nascose dietro Niko per evitare la reazione
dell’amica che lo fulminò con lo sguardo.
«Dille
che Soti è più importante della sua laurea…»
Il
ragazzo annuì, spaventato.
11
Vocina nella testa, che fine hai fatto?
Niente da fare, anche la follia mi sta abbandonando e ancora non
vedo nessun tunnel.
Però posso sentire le mie mani. È più un ricordo che il vero
tatto, ma ci sono quasi.
La scapola inizia a bruciarmi: maledetto tatuaggio!
12
La
porta della sala operatoria si aprì e uscì un uomo in camice blu.
«Che
volete?» chiese, in maniera brusca.
Una
gomitata sul costato risvegliò Niko, che stava cercando il ciuffo
rosso del chirurgo sotto la cuffia colorata.
«Vorremmo
delle informazioni su mia sorella» si affrettò a dire.
Niko, perché sento la tua voce?
«È tuo fratello?»
No, è il mio migliore amico.
Il
chirurgo lo squadrò.
«Non
sei suo fratello, non posso darti informazioni. Tornate quando ci
sarà un parente, vero…»
Niko, aiuto!
L’uomo
si voltò e fece per chiudere la porta, ma Stella fu lesta a
bloccarla con il piede.
«Non
ce ne andremo finché non avremo notizie…»
Stella, ci sei anche tu…
Aiutami, ti prego…
«Niko,
Stella, fatemi fare il mio lavoro!»
Sentendo
il proprio nome pronunciato da quello sconosciuto, Niko fece un passo
indietro.
«E
tu, vuoi veramente giocarti il tuo futuro per questi?»
Aminah
poggiò la mano sulla spalla dei due amici, li scostò e superò la
porta. Si guardò attorno e sorrise.
«Noi
non ce ne andremo finché non ci dirà cosa sta succedendo. Perché
non c’è nessuno con lei, opera solo?»
Aminah…
Il
chirurgo si spostò e li fece entrare.
«Vi
dirò tutto,
Poveri illusi!»
No, fermo!
Cos’è questa forza che sento?
È il mastino di prima ma è molto più potente.
Niko, Aminah, Stella: scappate, siete in pericolo.
«Cosa
sta succedendo a Soti?» Stella avanzò minacciosa verso il chirurgo
che, per nulla intimorito, si voltò dandole le spalle.
«Venite.
Ho detto che vi avrei raccontato tutto. Farò di più: ve lo
mostrerò…»
Attraversarono
insieme una porta blu, spessa diversi centimetri, e si ritrovarono
nella sala operatoria.
Soti
era sdraiata, nuda, su un lettino al centro di un pentacolo tracciato
col gesso sul pavimento.
«Cosa
cavolo…» le parole di Niko uscirono accompagnate da nuvole di
condensa.
Alcuni
neon esplosero.
Niko
afferrò Stella e la trasse a sé, allontanandola dall’uomo. Al suo
fianco, Aminah si acquattò a terra con le mani a protezione sulla
testa.
Lasciali stare!
«Goditi lo spettacolo. Non puoi vederlo ma le urla ti dovrebbero
bastare…»
Gli
ultimi neon scoppiarono e una folata di vento investì Niko.
I
piedi si staccarono dal pavimento e volò contro la parete alle sue
spalle.
L’impatto
gli mozzò il fiato. La vista si appannò e sentì l’urlo straziante
di Stella.
Lasciali stare, bastardo!
Bastaaa!!!
13
Sono
in piedi sul lettino di una sala operatoria. Niko e Aminah a terra,
Stella sospesa a mezz’aria.
«Ti
ho detto di lasciarli stare!» urlo.
Salto
verso l’uomo con il camice blu e la cuffietta colorata. O forse volo,
non lo so. Perché sono ancora leggera, ma stavolta un corpo ce l’ho.
L’uomo
si volta e spalanca la bocca. Avrà almeno un centinaio di denti
disposti su più file. La pelle incartapecorita e gli occhi gialli.
Dovrei
essere spaventata, ma sono troppo incazzata per rendermene conto.
E
poi mi sento forte.
Lui
si scaglia verso di me, le mani protese in avanti.
È
lento.
Scanso
di lato, lo afferro per il polso e lo strattono.
Però
non lascio la presa.
Sollevo
la gamba, poggio il piede sotto la sua ascella e tiro il braccio
verso di me: mi rimane in mano persino la spalla.
Il
resto dell’uomo cade a terra.
Stavolta
è lui a urlare.
«Ti
fa male?» chiedo.
Lui
non risponde e riparte all’attacco.
Probabilmente
la colpa è dello stress accumulato. Un’idea malsana mi attraversa la
mente ed è subito in atto: colpisco il mio avversario brandendo il
suo braccio.
Prima
al ginocchio e lo faccio cadere a terra.
Poi
in volto.
Una,
due, tre volte.
E
ancora.
E
ancora.
Finché
mi accorgo che è rimasto un corpo inerte senza testa.
Mi
fermo, lascio cadere il braccio sulla carcassa e mi giro verso i miei
amici.
Hanno
strane espressioni dipinte in volto. Tra lo spaventato e il
terrorizzato.
«Soti,
stai bene?» la voce di Aminah trema impercettibilmente. Mi viene
incontro, ha un lenzuolo in mano con cui mi copre.
Stella
ci raggiunge, mi abbraccia e rifila un calcio al cadavere.
«Bastardo!»
sibila mentre quello si scioglie lasciando una poltiglia
appiccicaticcia a terra.
Niko
è ancora immobile, gli occhi sgranati e la mascella spalancata.
«Hai
intenzione di startene lì impalato tutta la notte?» lo stuzzica
Aminah.
Lui
scuote il capo e fa spallucce.
«Io
vorrei cenare» piagnucola.
Scoppio
a ridere e annuisco.
«Però
prima mi accompagnate in un posto…»
14
«Sai
che potevamo morire?» chiedo.
La
vecchia è seduta sul divano con gli occhi impastati dal sonno.
Non
potevo aspettare che fosse mattina.
«Avevo
detto: niente ospedale. Sapevo che quel coso si stava nutrendo
dell’energia dei pazienti.»
«Colpa
mia…» Aminah solleva la mano.
Le
sorrido. «Non importa di chi è la colpa. Sta di fatto che mi hai
fatto qualcosa senza avvisarmi…»
«Te
l’ho detto più volte che ero una strega e che saresti stata la mia
pensione.»
«Credevo
fossi solo una pazza.»
«Beh,
non è così. Ora tu hai i miei poteri…»
«E
che devo fare?»
«Quello
che faccio io da sempre: sorvegli.» La vecchia afferra una piccola
confezione di latta e la scoperchia. «Biscotti?» chiede.
«Sì!»
Niko si fionda sulla preda come un felino.
«Ma
se non so fare nulla.»
«Imparerai.»
«E
come?»
«Con
quelli…» L’anziana si gira e indica una pila di libri che non
avevo notato.
«E
tu non mi aiu…» non faccio in tempo a finire la frase. La vecchia
svanisce sotto i miei occhi.
Mi
alzo e raggiungo il divano, al suo posto è rimasto un depliant di
Honolulu.
«E
ora?» chiedo voltandomi verso i miei amici.
«Io
andrei a mangiare» dice Niko.
«Passo»
risponde Aminah, andando verso l’uscita «Domani sono in ospedale.»
«Io
ci sto!» Stella sorride.
«Andiamo.»
Mi alzo, guardo la pila di libri e sbuffo. «Però torniamo presto,
mi attendono sessioni di studio straordinarie!»