Il tatuaggio di Soti

1

Cazzo!

La cantina inizia a girare, forma un vortice e prova a risucchiarmi. Le punte dei capelli schizzano in aria, attirate dal centro della spirale.

Eh no, stavolta non me la caverò con quella specie di post sbronza delle altre volte.

Stringo i braccioli come fossi sulle montagne russe. Il dolore alla scapola mi fa impazzire, la vecchia sta usando la sabbia per tatuarmi?

Per fortuna oggi dovrebbe finirlo…

L’odore d’incenso e spezie mi riempie le narici e quella nenia ritmata, che continua a recitare, mi fa venir voglia di strapparmi le orecchie. O di strappare la lingua a lei…

Ho freddo.

La sedia traballa, il vortice è sempre più forte.

Vorrei urlarle di smetterla con quell’ago del cazzo, ma non controllo più la bocca.

Che sta succedendo?

Da lontano proviene un rumore profondo e sincopato: sembrano tamburi.

Mentre la situazione assume contorni sempre più surreali, riesco solo a pensare a nonna che mi ripete di non fidarmi degli sconosciuti. Certo, avrebbe potuto specificare che anche le vecchiette sono pericolose, soprattutto quelle che parlano di esoterismo, di streghe e ti invitano in cantina per un tatuaggio…

I tamburi hanno avuto il pregio di coprire la cantilena, ma ormai vedo solo un vortice di colori.

La sedia si ferma, il vento non soffia più.

Sono leggera.

2

Niko, il manico della padella stretto in mano, sollevò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete. Entrambe le lancette nere puntavano il dodici dipinto a mano sul piatto raffigurante due trulli. Sua mamma teneva molto a quel cimelio di Alberobello e, nonostante fosse a ottocento chilometri da lì, sembrava potesse percepirne la presenza. Le rare volte che lui l’aveva sostituito con un più consono skyline londinese, puntuale, era arrivata la chiamata preoccupata di lei.

«E anche stasera si mangia soli…» bofonchiò Niko poggiando la pentola sul fuoco.

Afferrò la bottiglia d’olio, sporcò appena il fondo in metallo e, prima che il liquido diventasse troppo caldo, gettò sopra uno spicchio d’aglio.

Il rumore della chiave che entrava nella toppa richiamò la sua attenzione. Si voltò giusto in tempo per vedere la porta d’ingresso spalancarsi.

La schiena piegata in avanti, lo sguardo al pavimento e i lunghi dread biondi che le coprivano il volto, Soti irruppe in casa.

Niko mollò tutto e corse verso di lei. La raggiunse, le infilò un braccio sotto l’ascella e le cinse il fianco nel momento in cui si abbandonava.

Nonostante fuori ci fossero almeno quaranta gradi, era fredda.

Ringraziò il cielo che, almeno, Soti pesava poco.

La trascinò fino al divano e la fece sedere. Come aveva già fatto troppe volte negli ultimi giorni, le sfilò le scarpe rosse di tessuto.

Niko indietreggiò di mezzo passo e inspirò profondamente: la situazione gli stava sfuggendo di mano, Soti era messa peggio delle altre volte.

Le calze a rete erano strappate all’altezza del ginocchio, ma per fortuna non c’erano tracce di sangue. I pantaloncini di jeans, talmente corti che avrebbe causato uno scandalo della durata di un anno ad Alberobello, erano macchiati sul fianco. Solo il giubbotto in pelle sembrava integro. Lo sfilò e, per la prima volta, si accorse di un tatuaggio sulla scapola che raffigurava un sole.

Le adagiò la testa sul bracciolo, aiutandola a sdraiarsi. Con le dita tese, scostò il pugno di dread che le copriva il volto.

«Hey, Soti» la chiamò con voce tremula.

«Sotiria, sveglia!» riprovò.

Con la mano libera le carezzò la guancia, cercando di trasmetterle un po’ di calore.

Gli occhi della ragazza tremarono e si schiusero mostrando le iridi azzurre immerse in un mare rosso di sangue.

«Brucia…» sussurrò lei, muovendo appena le labbra.

Niko si piegò in avanti per comprendere meglio la voce esile.

«Hai caldo?» le chiese, credendo così di dare un senso ai vestiti bagnati.

«La pentola…» Soti sollevò appena la mano e indicò un punto alle spalle dell’amico.

Niko scattò in piedi, trattenendo un’imprecazione tra i denti serrati, e si voltò. Il piano cottura era scomparso dietro un nuvolone scuro: quella sera avrebbe saltato la cena.

3

Aver visto Niko mi rincuora, anche se non capisco che mi sta succedendo.

Ho come la sensazione di continuare a entrare e uscire dal mio corpo. Quando sento di poter riprendere il controllo, come pochi attimi fa, il freddo mi aggredisce. Ma dura poco, il vortice torna e diventa tutto impalpabile.

L’unica nota positiva è che Niko non mi spedirà in ospedale, le istruzioni che la vecchia mi aveva detto di dargli erano precise.

No Pronto Soccorso.

Niente medici.

Solo riposo.

Ammetto che mi erano sembrate esagerate come indicazioni, ma la vecchia era sempre stata così carina…

In questo momento rimpiango la mia passione per l’occulto, ma cavolo quant’erano belle quelle reliquie.

Come una tossica che fiuta lo spacciatore, quando l’ho incontrata al parco ho notato subito il ciondolo a forma di ragno stilizzato al collo della vecchia e da lì sono partiti fiumi di parole tra noi. Scoprire che anche lei era di Alberobello mi ha fatto abbassare le difese.

Vai a sapere che nel giro di tre giorni mi avrebbe conciata così.

Il freddo torna, sto per rientrare nel mio corpo. Eppure c’è qualcosa di strano, non mi sento… a casa.

Una luce mi abbaglia.

Attorno a me qualcuno parla di vacanze fatte, o da fare.

Non riconosco le voci.

C’è odore di candeggina.

Una mano blu compare dal nulla e intralcia la luce che sembra provenire da una lampada circolare.

Una mascherina mi copre naso e bocca.

«Dottore, partiamo con l’anestesia?» chiede la voce giovane di una ragazza.

«Sì.»

Tutto diventa buio.

4

Soti, sdraiata sul divano, aveva smesso di agitarsi. In un primo momento, Niko aveva avuto l’istinto di portarla in Pronto Soccorso ma si era fermato, sapeva che l’amica non avrebbe apprezzato.

Sbuffò e afferrò il tramezzino che si era preparato: prosciutto, caciocavallo e maionese. Un toccasana per riprendere lo studio notturno.

Spalancò la bocca e pregustò il pasto. Due colpi secchi alla porta d’ingresso lo bloccarono.

«Vediamo chi è arrivata per prima…» Adagiò il panino sul tovagliolo aperto sul tavolo e si alzò.

«Arrivo!»

Attraversò la stanza, fece girare le chiavi nella toppa e aprì.

«Che succede stavolta?» Aminah irruppe in casa. Si guardò attorno e puntò decisa il divano.

«Da quanto sta così?» chiese, poggiando la borsa da medico, che teneva in mano.

Niko guardò l’orologio sul muro.

«Quindici minuti» rispose, impalato sulla porta, mentre l’amica premeva l’indice e il medio sul polso di Soti.

Era felice fosse lei la prima a essere arrivata. Da anni aveva una cotta per Aminah e non gli dispiaceva vederla piombare in casa in piena notte. Aveva sempre sognato il momento in cui, coraggio alla mano, l’avrebbe fissata negli occhi verdi incassati nel viso d’ebano, così duro nei lineamenti eppure altrettanto affascinante, e le avrebbe chiesto di uscire con lui.

Ma non l’aveva mai fatto e, per ora, doveva accontentarsi di quelle visite d’emergenza.

«Spostati!»

Stella urtò Niko con la spalla, lo fece arretrare di qualche passo e irruppe in casa,.

La migliore amica di Soti corse al suo capezzale.

«Come sta?» chiese ad Aminah.

«I parametri sono buoni, però devo sapere cosa si è calata…»

«Nulla!» Stella, con fare drammatico, si ritrasse e portò la mano al petto. Il seno prosperoso, coperto dal vestito a fiorelloni lungo fino alle caviglie, sobbalzò.

«Non ne ho idea, ha giusto fatto in tempo a entrare in casa, poi è svenuta» rispose Niko, chiudendo la porta di casa.

«Ditemi almeno che le avete fatto fare quei prelievi…» disse Aminah scuotendo il capo.

Niko abbassò lo sguardo per sfuggire a quegli occhi che tanto gli piacevano ma che, in quel momento, fiammeggiavano d’ira.

Stella iniziò a giocherellare con la collana.

«Non è difficile. Avete l’impegnativa, dovevate solo portarla a fare quel cavolo di prelievo. Vi chiedo troppo?»

«No» sussurrò Niko, fissandosi la punta delle scarpe.

«A dire il vero, Soti ha detto niente ospedali… e niente medici!» Stella mollò la collana e si mordicchiò il pollice.

«Non sono ancora un medico, mi mancano tre esami.» Aminah lanciò un’occhiataccia all’altra ragazza. «Però una cosa la so anch’io: Soti non può stare qui, dobbiamo portarla in Pronto Soccorso!»

«No!» Questa volta il diniego di Niko arrivò quasi urlato. «Lei non vuole!»

«Perché?»

«Perché non crede alla medicina tradizionale» Si intromise Stella.

«Veramente quella sei tu…» Niko si pentì immediatamente di aver pronunciato quella frase.

Il volto di Stella divenne rosso fuoco, assunse dodici espressioni diverse che andavano dallo sconcerto all’ira, e si stabilizzò sulla modalità stizzita. Sollevò il mento e guardò un punto imprecisato dall’altra parte della stanza.

«Io e Soti siamo grandi amiche, per questo abbiamo idee simili…»

Niko si limitò a scuotere la testa.

«Mettiamo caso che non si tratti di droghe…» riprese a parlare Aminah «potrebbe essere epilessia. Ci sono tante forme che non prevedono crisi tonico cloniche…»

La studentessa di medicina si alzò in piedi si parò davanti a Niko. Era più alta di lui di almeno dieci centimetri. Gli poggiò una mano sulla spalla e si fece ancora un po’ avanti.

«Dammi retta, non è come le altre volte. Non risponde allo stimolo doloroso, dobbiamo portarla in ospedale.»

Niko abbassò nuovamente lo sguardo, indeciso.

«Chiamo il 112?» chiese Aminah.

«Ti ho detto di non farlo» rispose Stella.

5

Esplosioni di luci colorate mi abbagliano.

Fluttuo distante dal mio corpo.

Non sono più in ospedale, attorno a me percepisco altre persone.

Niko e il suo calore quasi fraterno. Aminah e la sua volontà ferrea. Stella e la sua esuberanza.

E poi… c’è qualcosa che non comprendo. Nonostante la presenza dei miei amici non mi sento al sicuro: qualcosa mi sorveglia.

È una presenza ingombrante.

C’era anche quando ero sdraiata in quella sala operatoria, ne sono certa.

Dev’essermi rimasta aggrappata addosso.

Ho di nuovo freddo e la scapola ricomincia a farmi male.

Possibile che io sia morta?

Spero per lei che sia così, altrimenti quella vecchiaccia avrà parecchie cose da spiegarmi…

6

Niko, seduto su uno sgabello nella sala d’attesa del Pronto Soccorso, accanto alla macchinetta degli snack, era impegnato a spolparsi le nocche: Aminah non era ancora tornata.

L’unica nota positive era che Stella, infuriata con loro, cercava di sbollire la rabbia consumando le scarpe a furia di passeggiare nel parcheggio.

Una ragazza, all’incirca della sua età, dormiva rannicchiata su una sedia. Di tanto in tanto un uomo, probabilmente suo padre, arrivava portandosi dietro l’odore di tabacco, le si avvicinava e sistemava la giacca con cui l’aveva coperta.

Con lamenti continui, e fitte sempre più forti, lo stomaco protestava per l’assenza di cibo.

Niko infilò per l’ennesima volta la mano in tasca e rovistò alla ricerca di una moneta che sapeva di non avere. Corrugò la fronte e lanciò un’occhiataccia al cambia monete con il display rosso del “Fuori servizio”.

La porta della zona emergenze si spalancò e uscì Aminah.

Si era infilata il camice bianco che usava per il tirocinio ed era ancora più bella del solito.

La ragazza lo raggiunse.

«Stella non è ancora rientrata?» chiese.

«No, lo sai che è contro gli ospedali…»

«Già…» Aminah si guardava attorno, come se controllasse che non ci fosse nessuno. «Recuperala, ci vediamo all’ingresso dipendenti…» disse, mordicchiandosi il labbro inferiore, e si voltò per allontanarsi.

Niko si sporse in avanti e l’afferrò per il polso.

«Sta bene?» chiese.

Non era abituato a vedere l’amica così nervosa.

Aminah si passò la lingua sulle labbra, inspirò profondamente e lo guardò di tralice.

«C’è qualcosa che non mi torna, per questo ho bisogno di voi…»

7

Cazzo!

Lo sapevo.

Solo io riesco a infilarmi in queste situazioni di merda.

Mi sono fatta abbordare al parco da una vecchia pazza, l’ho ascoltata farneticare di magia, forze oscure, streghe… devo aver detto anche qualcosa tipo: “Anch’io voglio essere una strega”.

Ma come ho fatto ad accettare di farmi tatuare?

Nel suo scantinato poi…

Devo avere la malaria, o qualcosa del genere.

Forse il tetano…

Però devo ammettere che non è male come tatuatrice; nonostante le manine rachitiche e un accenno di parkinson, ieri ho intravisto il disegno incompleto sulla scapola, allo specchio, e mi piaceva.

Peccato solo che ora sia prigioniera in questo nulla.

C’è stato un momento in cui ho creduto di riprendere il possesso del mio corpo. Poi è sparito di nuovo tutto.

Mi sento come se fossi chiusa in una scatola e fuori ci fosse qualcosa di brutto a fare la guardia.

8

Niko conosceva l’ingresso dipendenti dell’ospedale perché ci aveva accompagnato qualche volta Soti. Quando arrivarono davanti alla pota a vetri, Aminah li stava già aspettando.

«Adesso mi dici cosa sta succedendo!» esordì Stella, le mani ai fianchi e la testa che ciondolava.

«Vi spiegherò tutto mentre andiamo…»

«Dove?» chiese Niko, ma le due ragazze erano già entrate. Dovette correre per raggiungerle.

«Ho una buona notizia: tutti gli esami di Soti sono negativi.» disse Aminah accompagnandoli lungo il corridoio che univa il corpo centrale dell’ospedale al Pronto Soccorso.

«Te l’ho detto che non serviva portarla qui…» Stella gonfiò il petto in segno di vittoria.

«Già, inizio a crederlo anch’io…»

Niko quasi trasalì sentendo Aminah dare ragione all’amica.

«Fatto sta che c’è qualcosa che non mi torna. Tramite un amico ho letto la cartella di Soti e non riesco a capire perché l’abbiano portata in sala operatoria.»

Niko andò a sbattere contro Stella, che si era bloccata di colpo.

«Cosa vuol dire sala operatoria?»

«Vogliono operarla, ma non riesco a capire il motivo. Ho chiesto al mio amico ma non ha saputo spiegarmelo.»

«Chi la deve operare? Chiedi a lui…» a Niko sembrava una soluzione così semplice.

«Avrei voluto farlo, ma non sapete quanto è stronzo il chirurgo. Lo odiano tutti e si dileguano quando avvistano il suo ciuffo rosso nei corridoi. Non c’è modo di chiedergli un favore.»

«Quindi, che facciamo?» Stella sembrò destarsi e ricominciò ad agitare la mano davanti al viso.

«L’unica cosa in nostro potere: Niko, suo fratello, chiederà un colloquio!»

«Ma…» provò a protestare lui.

«Non ti preoccupare, ho il foglio firmato dalla guardia che ha verificato la tua identità…» Aminah abbozzò un sorriso. «Non so perché, ma in ospedale mi adorano tutti.»

Il cinguettio di Aminah colpì Niko al cuore, dilaniandolo.

9

Sento il mio corpo vicino.

Sono ancora viva, ma non riesco a muovermi.

Devo essere in coma.

Qui da qualche parte dovrebbe esserci il tunnel da seguire…

O forse non andava seguito?

Poco male, tanto sono ferma in questo non mondo, che mi flesha luci in faccia nemmeno fossimo a un rave.

«Chi sei?»

O porca puttana, e adesso da dove arriva ‘sta voce?

«Sento che ti stai formando, è stata una fortuna incontrarti mentre sei in incubazione…»

Okay. Senti, Vocina nella testa, io non ho la più pallida idea di dove mi trovi, ma tirami subito fuori di qui!

«Certo che lo farò, ma non credo ti piacerà…»

Ci mancava solo la vocina stridula che mi minaccia…

10

«Chi è?» una voce maschile gracchiò dal citofono della sala operatoria.

Niko inspirò profondamente e fissò le due amiche, che annuirono.

«Sono il fratello di Sotiria Giannasso…»

I pochi secondi di silenzio che seguirono furono i più lunghi della vita di Niko.

«Cosa vuole?»

«Come cosa vuole? Apra la porta o la sfondo!» Stella era paonazza in volto e aveva gli occhi fuori dalle orbite.

«Non c’è bisogno di alterarsi. Arrivo…»

Un rumore secco chiuse la comunicazione.

«Ma vedi un po’ ‘sto qua…» Stella sferrò un pugno all’aria. «Fanno di quelle domande che ti vien voglia di…»

«Ti pregherei di non pestare nessuno. Io vorrei laurearmi…» Aminah fece spallucce e si nascose dietro Niko per evitare la reazione dell’amica che lo fulminò con lo sguardo.

«Dille che Soti è più importante della sua laurea…»

Il ragazzo annuì, spaventato.

11

Vocina nella testa, che fine hai fatto?

Niente da fare, anche la follia mi sta abbandonando e ancora non vedo nessun tunnel.

Però posso sentire le mie mani. È più un ricordo che il vero tatto, ma ci sono quasi.

La scapola inizia a bruciarmi: maledetto tatuaggio!

12

La porta della sala operatoria si aprì e uscì un uomo in camice blu.

«Che volete?» chiese, in maniera brusca.

Una gomitata sul costato risvegliò Niko, che stava cercando il ciuffo rosso del chirurgo sotto la cuffia colorata.

«Vorremmo delle informazioni su mia sorella» si affrettò a dire.

Niko, perché sento la tua voce?

«È tuo fratello?»

No, è il mio migliore amico.

Il chirurgo lo squadrò.

«Non sei suo fratello, non posso darti informazioni. Tornate quando ci sarà un parente, vero…»

Niko, aiuto!

L’uomo si voltò e fece per chiudere la porta, ma Stella fu lesta a bloccarla con il piede.

«Non ce ne andremo finché non avremo notizie…»

Stella, ci sei anche tu…

Aiutami, ti prego…

«Niko, Stella, fatemi fare il mio lavoro!»

Sentendo il proprio nome pronunciato da quello sconosciuto, Niko fece un passo indietro.

«E tu, vuoi veramente giocarti il tuo futuro per questi?»

Aminah poggiò la mano sulla spalla dei due amici, li scostò e superò la porta. Si guardò attorno e sorrise.

«Noi non ce ne andremo finché non ci dirà cosa sta succedendo. Perché non c’è nessuno con lei, opera solo?»

Aminah…

Il chirurgo si spostò e li fece entrare.

«Vi dirò tutto,

Poveri illusi!»

No, fermo!

Cos’è questa forza che sento?

È il mastino di prima ma è molto più potente.

Niko, Aminah, Stella: scappate, siete in pericolo.

«Cosa sta succedendo a Soti?» Stella avanzò minacciosa verso il chirurgo che, per nulla intimorito, si voltò dandole le spalle.

«Venite. Ho detto che vi avrei raccontato tutto. Farò di più: ve lo mostrerò…»

Attraversarono insieme una porta blu, spessa diversi centimetri, e si ritrovarono nella sala operatoria.

Soti era sdraiata, nuda, su un lettino al centro di un pentacolo tracciato col gesso sul pavimento.

«Cosa cavolo…» le parole di Niko uscirono accompagnate da nuvole di condensa.

Alcuni neon esplosero.

Niko afferrò Stella e la trasse a sé, allontanandola dall’uomo. Al suo fianco, Aminah si acquattò a terra con le mani a protezione sulla testa.

Lasciali stare!

«Goditi lo spettacolo. Non puoi vederlo ma le urla ti dovrebbero bastare…»

Gli ultimi neon scoppiarono e una folata di vento investì Niko.

I piedi si staccarono dal pavimento e volò contro la parete alle sue spalle.

L’impatto gli mozzò il fiato. La vista si appannò e sentì l’urlo straziante di Stella.

Lasciali stare, bastardo!

Bastaaa!!!

13

Sono in piedi sul lettino di una sala operatoria. Niko e Aminah a terra, Stella sospesa a mezz’aria.

«Ti ho detto di lasciarli stare!» urlo.

Salto verso l’uomo con il camice blu e la cuffietta colorata. O forse volo, non lo so. Perché sono ancora leggera, ma stavolta un corpo ce l’ho.

L’uomo si volta e spalanca la bocca. Avrà almeno un centinaio di denti disposti su più file. La pelle incartapecorita e gli occhi gialli.

Dovrei essere spaventata, ma sono troppo incazzata per rendermene conto.

E poi mi sento forte.

Lui si scaglia verso di me, le mani protese in avanti.

È lento.

Scanso di lato, lo afferro per il polso e lo strattono.

Però non lascio la presa.

Sollevo la gamba, poggio il piede sotto la sua ascella e tiro il braccio verso di me: mi rimane in mano persino la spalla.

Il resto dell’uomo cade a terra.

Stavolta è lui a urlare.

«Ti fa male?» chiedo.

Lui non risponde e riparte all’attacco.

Probabilmente la colpa è dello stress accumulato. Un’idea malsana mi attraversa la mente ed è subito in atto: colpisco il mio avversario brandendo il suo braccio.

Prima al ginocchio e lo faccio cadere a terra.

Poi in volto.

Una, due, tre volte.

E ancora.

E ancora.

Finché mi accorgo che è rimasto un corpo inerte senza testa.

Mi fermo, lascio cadere il braccio sulla carcassa e mi giro verso i miei amici.

Hanno strane espressioni dipinte in volto. Tra lo spaventato e il terrorizzato.

«Soti, stai bene?» la voce di Aminah trema impercettibilmente. Mi viene incontro, ha un lenzuolo in mano con cui mi copre.

Stella ci raggiunge, mi abbraccia e rifila un calcio al cadavere.

«Bastardo!» sibila mentre quello si scioglie lasciando una poltiglia appiccicaticcia a terra.

Niko è ancora immobile, gli occhi sgranati e la mascella spalancata.

«Hai intenzione di startene lì impalato tutta la notte?» lo stuzzica Aminah.

Lui scuote il capo e fa spallucce.

«Io vorrei cenare» piagnucola.

Scoppio a ridere e annuisco.

«Però prima mi accompagnate in un posto…»

14

«Sai che potevamo morire?» chiedo.

La vecchia è seduta sul divano con gli occhi impastati dal sonno.

Non potevo aspettare che fosse mattina.

«Avevo detto: niente ospedale. Sapevo che quel coso si stava nutrendo dell’energia dei pazienti.»

«Colpa mia…» Aminah solleva la mano.

Le sorrido. «Non importa di chi è la colpa. Sta di fatto che mi hai fatto qualcosa senza avvisarmi…»

«Te l’ho detto più volte che ero una strega e che saresti stata la mia pensione.»

«Credevo fossi solo una pazza.»

«Beh, non è così. Ora tu hai i miei poteri…»

«E che devo fare?»

«Quello che faccio io da sempre: sorvegli.» La vecchia afferra una piccola confezione di latta e la scoperchia. «Biscotti?» chiede.

«Sì!» Niko si fionda sulla preda come un felino.

«Ma se non so fare nulla.»

«Imparerai.»

«E come?»

«Con quelli…» L’anziana si gira e indica una pila di libri che non avevo notato.

«E tu non mi aiu…» non faccio in tempo a finire la frase. La vecchia svanisce sotto i miei occhi.

Mi alzo e raggiungo il divano, al suo posto è rimasto un depliant di Honolulu.

«E ora?» chiedo voltandomi verso i miei amici.

«Io andrei a mangiare» dice Niko.

«Passo» risponde Aminah, andando verso l’uscita «Domani sono in ospedale.»

«Io ci sto!» Stella sorride.

«Andiamo.» Mi alzo, guardo la pila di libri e sbuffo. «Però torniamo presto, mi attendono sessioni di studio straordinarie!»

Quella zombie, non è un’apocalisse per bambini!

Piccoli, imprevedibili e fastidiosi. Sono quanto di peggio possa capitarvi durante un apocalisse zombie.

No, anche se con loro hanno tanto in comune, non sto parlando dei gremlins ma dei bambini.

Nelle grandi produzioni non se ne vedono tanti, forse per una questione di politically correct ma più probabilmente perché i cuccioli d’uomo sarebbero assolutamente ingestibili in caso di invasione zombie.

Immaginate una giornata (post-apocalittica) tipo: mamma, papà e bambino si svegliano e iniziano a preparare la colazione.

Considerando che il panettiere è stato sbranato un mese fa, e che il supermercato è diventato il covo di un gruppo di sopravvissuti dediti al cannibalismo, da mangiare è rimasta solo una scatoletta di crauti portata dal vostro caro amico Diego alla grigliata di due anni orsono. Suddetta scatoletta, probabilmente già scaduta nel momento in cui vi veniva affidata “ma tanto è risaputo che la roba in scatola non va a male”, emana fluorescenza e nel momento dell’apertura rilascia uno sgradevole odore acre.

Mamma reagirà sorridendo, papà storcerà il naso e il piccolo demone, che credevate essere vostro figlio, inizierà a lamentarsi perché vuole un Kinder fetta al latte.

Superato la prima diffidenza, e dopo la vostra paziente opera di convincimento basata sulle proprietà nutritive dei crauti scaduti, il bambino potrebbe fare colazione o, più probabilmente, potrebbe decidere di saltare il pasto.

I minuti successivi vedranno i genitori struggersi sul da farsi: la dispensa è vuota ma nessuno dei due ha voglia di uscire a fare shopping. Eppure il peggio deve ancora venire, la discussione muore in fretta: il bambino, spostatosi in sala, si annoia!

Andate a spiegare a un bambino dell’età compresa tra i 2 e i 12 anni che la noia equivale a essere ancora vivi. Vi accorgerete che non è cosa semplice…

A questo punto, uno dei due genitori si impegnerà a intrattenere il piccolo e l’altro uscirà di casa per procacciare cibo con nel cuore la recondita speranza di essere sbranato.

Sicuramente la mia visione è pessimistica ma credo che la giornata (post-apocalittica) tipo, in compagnia di un bambino, non possa superare la durata di un’ora. Se non mi credete andate a guardare “The Walking Dead”. La serie della AMC Studios ci ha fornito parecchi spunti di riflessione.

Nella puntata pilota ce ne presentano due:

  1. Il figlio di Morgan che, per quanto sia grandicello e quasi autonomo, sarà la causa della follia del padre.
  2. La piccola con il pigiamino rosa, il sorriso poco rassicurante e il peluche che lancia un messaggio inequivocabile: il bambino muore in fretta!

Nonostante l’inizio choc la produzione non sembra averne mai abbastanza di bambini così già nalla seconda puntata incontriamo Carl (il più longevo della serie) e Sophia.

La figlia di Carol, dopo una fuga abbastanza stupida, causerà una delle parti più noiose dell’intera serie: una caccia estenuante (più per lo spettatore che per i protagonisti) che però avrà un culmine degno di nota.

Nello stesso periodo, l’erede designato di Rick, con tanto di cappello da sceriffo e pistola, passerà quasi tutto il tempo in coma per colpa del primo di tanti buchi che si ritroverà nel cranio.

Quindi, a nemmeno un giro di boa, abbiamo quattro bambini petulanti che cacciano tutti nei guai.

Però TWD ci insegna che al peggio non c’è mai fine così, mentre Rick, Shane (già morto) e Lori decidono di mettere al mondo Judith “Spaccaculi”, sullo schermo compaiono due adorabili sorelline: Lizzie e Mika Samuels. Loro restituiscono la voglia di vivere a Carol giusto il tempo per rigettarla in un baratro senza fondo. L’insana passione di Lizzie per gli zombie causerà quella che, a mio avviso, è stata la parte più tremenda dell’intera serie.

Nel frattempo un numero imprecisato di bambini muore, giusto per sottolineare la fragilità della vita durante l’apocalisse.

Da qui in poi compaiono altri neonati, infanti, bambini e ragazzini di poco conto. Quasi tutti vengono strappati dalle braccia dei genitori per finire tra quelle caritatevoli di chi li ha resi orfani.

A questo punto dovreste aver cancellato ogni vostro dubbio: quella zombie, non è un’apocalisse per piccoli!

Per ovviare questo problema io ho iniziato un duro addestramento con i miei figli che, servizi sociali permettendo, mi permetterà di avere al mio fianco tre piccoli ammazza zombie.

Se l’articolo ti è piaciuto puoi leggere anche quelli che l’hanno preceduto…

Sweet apocalypse home

Casa, durante l’apocalisse zombie, sarà qualsiasi posto in cui sentirsi al sicuro. Un tombino mentre l’orda vi passeggia sulla testa, dei rami su cui avete trovato un materasso, il cesso pubblico sempre che uno zombie non abbia moneta in tasca… insomma, un posto in cui non diventare uno spuntino.

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Diverso è per il PS (Posto Sicuro) o anche il PST (Posto Sicuro Temporaneo).

Come già detto, il PST è composto da 4 mura, due vie di fuga e qualche scorta alimentare che possa farvi resistere anche qualche settimana. Un rifugio di fortuna che vi permetterà di superare la fase di degenero totale ma da cui, presto o tardi, dovrete fuggire. Questo per via della sfortuna che non vi ha permesso di raggiungere il vostro PS o perché non avete un PS.

Quindi, se non volete diventare il piatto principale del Giorno Zero, è il caso di costruirselo questo benedetto PS!

Il Posto Sicuro e come costruirselo!

Appurato il fatto che la parola “Sicuro”, durante una qualsiasi apocalisse, lascia il tempo che trova vediamo cosa non deve mancare in quello che può diventare il rifugio ideale.

E luce fu.

Per prima cosa bisogna pensare all’energia elettrica.

La diamo per scontata e forse pensiamo di poterne fare a meno, in fondo l’uomo del diciottesimo secolo non la conosceva eppure sopravviveva. Ma noi non siamo nel 1700 e senza elettricità saremmo perduti.

Quindi che aspettate: sotto con i pannelli solari che, allo stato attuale delle cose, male non fanno e potrebbero concedere qualche secondo in più alla Terra.

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Scarterei a priori i generatori a benzina, troppo rumorosi e da rifornire. Se una cosa l’ho imparata, in tutti questi anni di film horror, è che il carburante finirà in piena notte e quando uscirete per fare rifornimento morirete nel modo più atroce.

Pensate anche a un “gruppo statico di continuità”, negli attimi prima della fuga la luce non deve mancare!

Date da bere agli assetati.

Come dicono studi di ultimissima generazione (forse poco attendibili ma chi sono io per contraddirli?) l’uomo è composto per il 90% da acqua.

Una cosa però è certa, dopo i primi giorni verranno meno tutte le forniture, tra cui l’acqua potabile. Una mattina aprirete il rubinetto e non ci sarà più pressione. A questo punto, se sarete impreparati, l’urina sarà la vostra ultima possibilità di sopravvivenza, ma parliamoci seriamente: alla lunga stanca e non cuoce bene la pasta!

La soluzione è una e una soltanto: costruite cisterne per raccogliere la pioggia.

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Sia che siate in una casa di campagna o in un palazzo in città, il consiglio è di trovare il modo di incanalare e conservare l’acqua piovana.

Anche un pozzo può andare bene, ma attenti alle sorprese…

Il fuoco di Dio.

Anche solo per scaldare l’acqua piovana, e renderla potabile, sarà fondamentale avere dei fornelli. Però, tenendo presente che non si potrà più fare affidamento sulle forniture (quindi niente gas), e scartando a priori stufe e camini che vi costringerebbero a uscire per recuperare la legna, sfruttare l’energia dei pannelli solari mi sembra la cosa migliore. Quindi, sotto con i fornelli a induzione che, tra le altre cose, vi faranno proseguire nella vostra linea green…

Il silenzio è d’oro

Questo punto mi tocca da vicino.

Da sempre sono convinto che, dovessi anche superare i primi istanti dell’apocalisse e arrivare sano e salvo al PS, la notte mi sarebbe fatale. Il perché è semplice: russo a livelli inimmaginabili. Se avete il minimo sospetto che io stia esagerando, ripensateci. Faccio talmente tanto rumore da infastidire, e svegliare più volte a notte, me stesso.

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Quindi la mia unica possibilità di sopravvivere è quello di insonorizzare il PS. E questo vale anche nel mondo attuale!

Il giardino dell’Eden

Partendo dal presupposto che il PS dovrà essere invaso da scatolette di ciboa lunghissima conservazione e quintali di pasta, un po’ di verdura non dovrà mancare. Il modo più semplice per far crescere qualcosa di verde, che non sia il muschio sulle vostre magliette, sarà l’idrocoltura.

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Acqua, luce, lana di roccia, qualche nutriente e il gioco è fatto. Avrete verdura fresca tutto l’anno!

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore

Immaginate il mondo al buio, senza luci. E ora pensate al vostro PS, illuminato a giorno anche a mezzanotte. L’effetto sarà quello di un ufo durante una notte priva di luna e nuvole.

Direi che questa cosa è da evitare, meno date nell’occhio e più possibilità di sopravvivere avrete. Quindi: luci spente di notte e sotto con tendoni, assi alle finestre, vetri oscurati, altri tendoni, altre assi, altri vetri… nessuno dovrà rendersi conto della vostra esistenza.

Ne ferisce più la penna della spada, ma una mina fa più danni.

Non c’è PS senza protezioni esterne. Assodato che il modo migliore per tenere tutti al sicuro è quello di non attirare l’attenzione di vivi, morti e deambulanti in generale se qualcuno dovesse avvicinarsi troppo sarà il caso che il perimetro esterno sia ben difeso.

Quindi, sotto con recinzioni, barriere di fortuna, campi minati, sensori di movimento… insomma, chi più ne ha più ne metta.

Di recente mi è stato sottoposta un’idea interessante, con tapis roulant che circondano il perimetro della casa, ma mi prendo qualche tempo per valutare meglio la proposta…

L’occhio di Dio

Sapere quello che vi sta capitando attorno può aiutare, saperlo con largo anticipo può farvi sopravvivere. L’ideale sarebbe quello di montare telecamere, più o meno vicine al perimetro esterno del PS, per anticipare l’arrivo di orde di zombie o vicini di casa troppo impertinenti. Non credo che, in piena apocalisse, qualcuno verrà a suonarvi alla porta per chiedervi un po’ di zucchero. Quindi: occhi bene aperti e diffidenza a livelli massimi.

Se siete dei boss della sopravvivenza, preparate una vera sala di controllo da cui monitorare gli spostamenti dei vostri compagni durante qualsiasi sortita esterna. Droni e camere portatili possono tornare utili.

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Direi che per ora è tutto, così dovreste avere un PS di tutto rispetto, ma non escludo aggiornamenti. Ci sono altri punti da approfondire.

Per esempio: questa pupù dove la metto?

Riflettete…

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Oggi cercherò di spiegarvi come sopravvivere alle prime fasi dell’invasione zombie. Per rendere tutto più facile creerò un elenco di 9 punti.

Regola N°1: Orecchie tese e occhi ben aperti!

“Siamo alla fine del XX secolo: il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche, sulla faccia della terra gli oceani erano scomparsi e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti, tuttavia la razza umana era sopravvissuta.”

Avete tre secondi per dirmi da dove arriva questa frase…

3…

2…

1…

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Parliamoci seriamente, l’invasione zombie non sarebbe poi questa gran catastrofe. Già oggi le conversazioni interessanti latitano. Sostituire i lamenti di un umano con quelli di un morto vivente non sarebbe poi questa catastrofe.

È tutto molto interessante

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Apocalisse Zombie: Dress Code!

Come ogni party che si rispetti, l’apocalisse zombie ha un dress code ben definito. Non c’è da stupirsi, in fin dei conti sarà un evento unico, probabilmente irripetibile.

Non credete di poter aggirare la cosa, ogni personaggio ha il suo abbigliamento riservato da cui non può scappare. Nei primi giorni ci saranno telecamere in ogni angolo, pronte a immortalarvi e tutto dovrà essere perfetto. Non sarà facile guadagnarsi il primo piano che farà il giro del mondo, quindi fate attenzione a queste indicazioni. Continua la lettura di Apocalisse Zombie: Dress Code!

Meglio zombie che male accompagnati?

Nell’altro articolo lasciavo intendere che avrei detto la mia su come sopravvivere durante un’apocalisse zombie. Ecco, mentivo.

O meglio, prima di farlo dovremmo rispondere a una domanda: chi siamo?

Detta così sembra quasi una deriva esistenziali, simile a quelle che rendono speciali l’adolescenza, ma per sopravvivere è fondamentale conoscere e ammettere i nostri limiti. Continua la lettura di Meglio zombie che male accompagnati?