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Tra moglie e marito

Con un movimento delicato di pollice e indice, Sofia fece scivolare il primo bottone dei jeans di Alex fuori dall’asola.
L’uomo, la mano destra stretta sul bracciolo del divano e la sinistra infilata tra due cuscini, fissava la bionda inginocchiata davanti a lui. Non riusciva a credere a quanto stesse accadendo.
TE L’HO DETTO CHE QUESTA ERA UNA POCO DI BUONO. CHI FA UN POMPINO ALLA PRIMA USCITA? La voce di Marica gli si insinuò nelle orecchie.
Alex si morse il labbro per non rispondere. Passò lo sguardo dalla faccia libidinosa di Sofia a quella ultraterrena e imbronciata della sua ex e abbozzò un sorriso.
La mano di Sofia gli strinse il membro e lo liberò dalla prigionia. Alex tese i muscoli, gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
USERÀ I DENTI, SARÀ IL POMPINO PEGGIORE DELLA TUA VITA!
Lui non rispose, tutte le facoltà mentali erano rivolte al pene che era stato appena avvolto dall’abbraccio umido della bocca di Sofia.
Lasciò i cuscini e portò la mano alla nuca di lei. Le infilò le dita tra i capelli e l’invitò ad andare più a fondo.
Il rumore metallico delle chiavi che facevano scattare la serratura infranse quell’attimo di goduria. Alex scansò la mano dalla testa di Sofia e scattò in piedi. Una fitta al pene gli strappò una smorfia di dolore.
TE L’AVEVO DETTO CHE AVREBBE USATO I DENTI! lo schernì Marica.
La porta si spalancò e un uomo fece irruzione in casa. «Bastardo!» urlò infilando la mano nella giacca.
Alex sollevò le braccia per indicare la sua innocenza, ma i jeans alle ginocchia e il pene sanguinante che puntava il soffitto dicevano il contrario.
La pistola che si ritrovò puntata in faccia chiudeva ogni spiraglio di contrattazione.
STAVOLTA SÌ CHE VIENI A TROVARMI!


***

10 giorni prima


Ancora a occhi chiusi, Alex sentì l’oppressione dell’anello che gli circondava la testa. Un beep cadenzato seguiva alla perfezione il pulsare delle tempie. Dischiuse la bocca, in cui sembrava gli avesse cagato un montone, e si passò la lingua sulle labbra. Era cuoio che carezzava cuoio.
TERZO TENTATIVO ANDATO MALE, INIZIO A CREDERE CHE TU LO FACCIA APPOSTA! La voce di Marica confermava le sue paure: era ancora vivo.
Aprì gli occhi. A parte la sua ex, defunta e seppellita, non c’era nessuno al suo capezzale.
Sdraiato su un letto, una tenda bianca a separarlo dal mondo, aveva dei cavi che sbucavano dal camice a righe orizzontali blu e arrivavano al monitor sulla sua sinistra. Era quello, con il suo beep ritmico, a rinfacciargli l’ennesimo fallimento.
«Finalmente ti sei svegliato!» L’inopportuna voce allegra proveniva dalla sua destra.
Alex si voltò e vide una ragazza bionda, la divisa verde da infermiera, emergere da dietro la tenda.
«Sgree…» rispose. La voce gli uscì roca e incomprensibile.
«Non ti affaticare, parlerai più avanti.»
La ragazza andò al monitor, poggiò l’indice sullo schermo e il beep smise di martellargli la testa.
CARINA E UTILE: UNA RARITÀ!
Un po’ gli doleva ammetterlo, ma Marica aveva ragione. Nonostante la situazione e la mise, Alex trovava l’infermiera stranamente attraente. Forse per via degli occhi azzurri, o per le forme mal celate sotto la divisa. Oppure, più semplicemente, perché erano tre mesi che lui passava tutto il tempo in compagnia di una morta.
«Ti abbiamo riacciuffato per i capelli. Altri cinque minuti e andavi in arresto respiratorio!»
Alex mugugnò una risposta tra il “che culo” e il “la prossima volta fatevi i cazzi vostri!” ma non era ancora in grado di articolare le parole.
«Sofia, mi serve un catetere al cinque!» La testa di un’altra infermiera fece capolino da dietro la tenda. La donna incrociò lo sguardo di Alex e corrucciò il naso. «Il suicida si è svegliato… ti ha già detto il nome?» chiese.
FINALMENTE UNA CHE GIUSTIFICA IL MIO AMORE PER IL MONDO. QUESTA È SIMPATICA COME UNA PALATA DI LETAME!
«No, ancora non parla.»
«Allora vai a sistemare il tricheco che è arrivato alla cinque, a lui penseremo dopo.» L’ultima arrivata sparì coperta dalla tenda.
«Risposa ancora un po’, ci vediamo dopo.» Sofia si congedò passandogli le dita sul torso della mano.
Alex la osservò andare via: anche da dietro non era male.
SEI UN PORCO!



***


Vista da vicino, la canna della pistola faceva paura. Non che Alex ne avesse mai vista una da lontano, ma era certo che l’effetto fosse diverso.
In passato aveva preso in considerazione la possibilità di spararsi, ma l’idea del proiettile che gli sfondava il cranio gli dava il ribrezzo. E Poi non sapeva dove procurarsene una. Non fosse stato in quella situazione, avrebbe chiesto al marito di Sofia dove l’avesse presa.
«Quindi questo è uno delle merde che ti scopi?» urlò l’uomo.
La ragazza non rispose. Era ancora seduta a terra, le ginocchia al petto e uno strano ghigno sul volto.
NO, SHERLOCK. GLI STAVA SOLO FACENDO IL BOCCA A BOCCA MA HA PRESO MALE LE MISURE…
Alex inclinò la testa di lato, sollevò un sopracciglio e trattenne una risata. Effettivamente la domanda era a dir poco retorica.
«E tu, che cazzo ti ridi?» L’uomo doveva essersi accorto del sorriso trattenuto.
Il calcio della pistola che colpì Alex al mento era il modo del marito di Sofia per manifestare l’inopportunità del gesto.
NON SI RIDE DAVANTI A UN’ARMA! sottolineò Marica.
Mentre viaggiava di faccia verso il pavimento, Alex si disse che era stato un po’ scortese, ma ormai era troppo tardi per scusarsi.
GIÀ, E COMUNQUE NON MI SEMBRA UN TIPO RAGIONEVOLE!


***

3 mesi e 10 giorni prima


La stanza era quella in cui si era sentito felice in compagnia di Marica, ma di quel periodo erano rimaste solo due foto appoggiate a testa in giù sulla scrivania.
Alex, seduto sul divano, fissava la televisione spenta nel tentativo di trovare uno stimolo per alzarsi, per passare oltre. Non usciva dal giorno del funerale di lei, che avevano celebrato un mese dopo l’esplosione del palazzo. Tanto era servito agli inquirenti per stilare la lista dei morti di quel tremendo incidente in cui lui era sopravvissuto miracolosamente.
MIRACOLOSAMENTE… La voce di Marica lo strappò dai suoi pensieri.
Alex si voltò e la vide, bella come sempre. Un metro e cinquanta per novanta chili, stretti in un vestito giallo a tubetto.
«Speravo di rivederti!» disse con gli occhi gonfi di pianto.
IO SPERAVO DI RIMANERE VIVA, MA NON POSSIAMO AVERE TUTTO.
«Come stai?»
MORTA.
«A parte questo?»
TUTTO TRANQUILLO. NON SO ANCORA PERCHÉ SONO ESPLOSA CON L’INTERO PALAZZO, MA PER IL RESTO TIRIAMO AVANTI. TU, CONTINUI A NON RICORDARE NULLA?
«Purtroppo…»
IMMAGINO SIA STATO UNO CHOC PER TE.
«Mi manchi tanto.» Le lacrime abbandonarono gli occhi di Alex e gli bagnarono le guance.
NON DEVI PIANGERE, ORA SONO QUI CON TE… Marica fece due passi, raggiunse il divano e si sedette accanto ad Alex. GUARDIAMO QUALCOSA? chiese facendo comparire dal nulla una ciotola piena di rane fritte.
«Con te farei qualsiasi cosa» Alex sorrise, impugnò il telecomando e accese il televisore.
ALLORA IL FILM LO SCELGO IO!



***


Il pavimento premuto contro la guancia, a ricordargli quanto fosse dura la vita, Alex ammirava le scarpe del marito di Sofia. Sapeva della sua esistenza e del suo carattere irrequieto, ma non aveva immaginato che l’avrebbe conosciuto così.
«Alzati, bastardo!» sbraitò l’uomo sbattendosi la porta alle spalle.
Alex poggiò il palmo destro a terra e si mise in ginocchio. Aprì la bocca e una leggera fitta alla mandibola gli ricordò quanto fosse sbagliato ridere in faccia a uno che impugnava una pistola.
«Da quanto te la scopi?»
Indubbiamente quella domanda nascondeva delle insidie, però non sarebbe stato saggio tacere.
DIGLI LA VERITÀ, AMMETTI DI ESSERE ANCORA VERGINE!
«Nonostante le apparenze, vorrei dirle che io e Sofia non abbiamo ancora consumato l’amplesso…»
L’uomo, con la destra, l’afferrò per i capelli e lo costrinse ad alzare la testa.
Alex si trovò faccia a faccia con il suo aggressore che gli infilò la canna della pistola in bocca.
BUFFO QUANTO QUESTA POSIZIONE RICORDI QUELLA DI POCO FA.
«Non prendermi per il culo, lo so che sono mesi che ve la scopate!»
Le parole dell’uomo aprivano a nuove prospettive, era il caso di iniziare a valutare la possibilità che Alex si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Lui conosceva Sofia da non più di dieci giorni.
TE L’HO DETTO CHE ERA UNA POCO DI BUONO…


***


7 giorni prima

IN OSPEDALE TE LA PASSI MEGLIO CHE A CASA…
Ad Alex non sfuggì il tono sarcastico di Marica, ma fece finta di nulla e tornò a guardare la televisione.

In una settimana aveva cambiato tre compagni di stanza ma, a parte l’anziano che non era stato zitto un istante, con gli altri non era andata male. Quest’ultimo poi era il migliore, passava più tempo nei corridoi che nella loro doppia.
SARÀ MICA PER LE VISITE DELLA TUA INFERMIERINA…
Come a voler sottolineare le parole di Marica, Sofia irruppe nella stanza.
«Come sta oggi il mio sopravvissuto preferito?» La ragazza aveva l’aria sbarazzina della bimba che va al pigiama party dalle amiche.
«Bene, anche se in TV non passa nulla di interessante!»
NON È VERO, FORUM CI È SEMPRE PIACIUTO!
Sofia gli stampò un bacio sulla fronte e passò oltre. Raggiunse la finestra, scostò la tenda e la luce invase la stanza.
Alex a socchiudere gli occhi e portò il braccio a protezione.
«Non puoi stare al buio, non sei ancora morto.»
«Cerco di abituarmi all’idea.»
«Smettila!» Sofia, il volto contrito, tornò sui suoi passi e raggiunse il letto di Alex. Si sporse e gli afferrò la mano. «So che non avrei dovuto, ma ho parlato con la psichiatra e letto il tuo fascicolo» disse abbassando lo sguardo.
PERFETTO, ABBIAMO UNA STALKER.
«Tu ti stai punendo per la morte di Marica.»
VORREI BEN VEDERE…
«No!» rispose d’istinto, ma sapeva di aver mentito: era colpa sua.
«È normale che tu lo faccia, sei l’unico superstite di quell’esplosione.»
«Non è per quello…»
«Certo che è per quello. Ti accusi per la fortuna che hai avuto, però hai già pagato: sei stato in coma per due giorni.»
Alex ritrasse la mano e la nascose sotto il lenzuolo.
«E ora hai paura di vivere. Trovi ingiusto che lei sia morta mentre tu sei ancora qui.»
È INGIUSTO SÌ, SEI UN ASSASSINO!
«Io l’ho uccisa!» Alex non riuscì a trattenere i singulti.
«No che non l’hai fatto» Sofia infilò la mano sotto il lenzuolo e afferrò quella di lui. «È stata l’esplosione del laboratorio.»
Alex abbassò la testa e guardò le lacrime tuffarsi oltre la punta del suo naso.
NON PIANGERE, DILLE LA VERITÀ.
«Perché fai questo, perché vuoi aiutarmi?»
«Perché anch’io una volta stavo per commettere una fesseria.»
La mano di Sofia comparve sotto gli occhi di Alex. La girò e mostrò una lunga cicatrice che dal polso arrivava a metà avambraccio.
«Mio marito mi picchiava e io credevo fosse colpa mia. Ho dovuto assaporare la morte per trovare il coraggio di lasciarlo!»
PERFETTO. QUESTA HA MANIE SUICIDE CHE LE HANNO CAUSATO LA SINDROME DELLA CROCEROSSINA: LA TIPA ADATTA A UNO SVALVOLATO COME TE!



***


«Dario, lui non c’entra.» Sofia dava segni di vita.
La situazione cambiava di poco ma almeno l’ex marito, che finalmente aveva un nome, avrebbe rivolto le attenzioni su di lei.
Alex approfittò dell’attimo di distrazione dell’uomo per guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa da usare come arma.
NON CI PENSARE NEMMENO, NON HAI LA STOFFA DELL’EROE!
Aveva ragione lei, ma non era quello il momento di essere negativi, serviva l’ottimismo della vecchia Marica.
QUELLO È STATO SEPPELLITO CON L’INDICE CHE HANNO TROVATO. OPPURE È ESPLOSO CON IL RESTO DEL CORPO. NON SAPREI…
Dario estrasse la pistola dalla bocca di Alex a la puntò contro Sofia.
«È ancora per quella storia?» L’uomo avanzò di qualche passo verso l’ex moglie, dandogli le spalle.
«La chiami “quella storia”? Tu mi massacravi di botte!» La ragazza aveva smesso i panni della vittima impaurita e sbraitava, le vene del collo gonfie e le mani che le tremavano.
«È successo una sola volta. Ho sbagliato…» Adesso era Dario a sembrare in difficoltà.
«Una volta mi hai mandato all’ospedale, ma quante volte mi hai colpita?»
ORA! urlò Marica vedendo l’uomo impegnato.
Alex si alzò di scatto e si lanciò sul braccio di Dario che impugnava la pistola. Gli afferrò il polso e lo strattonò, ma si vedeva che l’altro era più avvezzo alla lotta.
Un gancio sinistro colpì Alex allo zigomo e lo proiettò indietro di qualche metro. Impattò con la schiena contro il pavimento e con la nuca al muro. La stanza gli girò attorno e le immagini si fecero sfocate.
RESTA CON ME, NON SVENIRE!


***

40 giorni prima


«Signor Sponti, leggo che lei ha dei precedenti di schizofrenia con allucinazioni.»
Alex distolse lo sguardo dalla foto poggiata sulla scrivania, che ritraeva la donna con cui stava parlando in compagnia di un bell’uomo e due bambini sui dieci anni, e annuì.
«Segue ancora la terapia che le è stata prescritta.»
«Sì.»
BUGIARDO!
«Dopo l’incidente a lavoro, qualche mio collega l’ha rivalutata?»
«No, ma ho visto uno psichiatra quando mi hanno ricoverato per l’intossicazione da benzodiazepine del mese scorso.»
«Anche l’altra volta le aveva prese “per sbaglio”?»
«Sì!»
LO SA CHE STAI MENTENDO. NEMMENO UN IDIOTA SI SCOLEREBBE PER SBAGLIO UNA BOCCETTA DI ANSIOLITICI.
«Eppure a me sembra un caso strano. È sicuro che non ci siano voci a spingerla a farlo?»
«No»
QUESTO È VERO. IO MICA VOGLIO FARTI AMMAZZARE, VOGLIO SOLO RIABBRACCIARTI…
La dottoressa, seduta dall’altra parte della scrivania in quell’ambulatorio spoglio del Pronto Soccorso, portò una penna alla bocca e iniziò a mordicchiarla.
SI VEDE CHE È NERVOSA, SECONDO ME È PAZZA.
Alex portò la mano destra alla fronte e iniziò a massaggiarsi le tempie.
«Ha mal di testa?»
«Sì»
«Le capita spesso dopo l’incidente?»
«A volte.»
«E prima?»
«Uguale.»
Seguì un lungo silenzio che la psichiatra utilizzò per leggere qualcosa al monitor del computer.
SECONDO ME STA CERCANDO IL POSTO PER ANDARE IN VACANZA, OPPURE STA DECIDENDO SE INTERNARTI…
«Continua l’amnesia per quanto riguarda il giorno dell’esplosione?»
«Sì.»
BUGIARDO, DILLE CHE ORA TI RICORDI TUTTO!
«Nulla?»
DAI, DIGLIELO CHE MI HAI UCCISA PER SBAGLIO MENTRE FACEVAMO L’AMORE NEL TUO UFFICIO E POI SEI SALITO NEI LABORATORI DOVE HAI INNESCATO L’ESPLOSIONE RITARDATA.
«Niente.»
«Nemmeno cosa ci faceva sul tetto?»
QUESTO NON PUOI DIRGLIELO. NESSUNO CREDEREBBE CHE UNO SANO DI MENTE VOLESSE SALTARE SUL TETTO DEL PALAZZO AFFIANCO PER SCAPPARE. SE LO RACCONTI TI RICOVERANO VERAMENTE.
«La polizia sostiene che probabilmente cercavo una via di fuga…»
«… e che l’urto della detonazione l’abbia scagliata nel palazzo davanti. Sì, ho letto.»
QUESTA EFFETTIVAMENTE È STATA FORTUNA.
«Devo aver saltato tra l’incendio e l’esplosione.»
«Bene.» La psichiatra si alzò dalla sedia. «Onestamente credo che l’esperienza vissuta possa aver peggiorato il suo stato. La ricovereremo qui in reparto per qualche giorno e cercheremo di giungere a una diagnosi. Vedrà che tornerà a star bene.»
«Grazie» fu l’unica risposta di Alex la cui esperienza gli aveva insegnato che lottare peggiorava solo le cose.
FINALMENTE MI PORTI IN UN POSTO NUOVO.



***


Quando la stanza smise di girare attorno ad Alex, c’era silenzio. A pochi metri da lui, Sofia fronteggiava a testa alta Dario, che continuava a puntarle la pistola contro.
PERÒ, HA LE PALLE LA RAGAZZA!
«Non puoi buttare una storia di cinque anni per un errore.» La voce dell’uomo era quasi una supplica.
«Hai ragione, dovevo farlo al primo schiaffo!»
«Non dire così, lo facevo per amore.»
«No, l’amore non può essere violento!»
L’ex marito allungò la mano libera e la poggiò sulla guancia di Sofia. «Scusami, non lo farò più. Io ti amo!»
La ragazza gli afferrò il polso e lo torse.
Dario si girò dandole le spalle, una smorfia di dolore in volto.
Sofia lo colpì con la pianta del piede dietro le ginocchia e lo buttò a terra. Sollevò ancora più in alto il braccio strappandogli un urlo.
«Butta la pistola!» gli ordinò.
Alex osservava la scena a bocca aperta. Forse anche lui avrebbe dovuto fare la stessa mossa prima.
QUESTA È IL MIO NUOVO IDOLO! esultò Marica.
Dario mollò la presa sulla pistola che ricadde a terra. «Smettila, così mi spezzi il braccio» piagnucolò.
«Sai quante volte ti ho supplicato allo stesso modo?» La voce di Sofia era più profonda del solito.
«Ti chiedo scura, perdonami!»
«Tieniti le preghiere per dopo.» Gli occhi della ragazza brillarono. «Alex, per favore, mi prenderesti il nastro americano e le corde che trovi nel cassetto in basso della cucina?» chiese con tono affabile.
NON È STRANO CHE TENGA CERTA ROBA IN CASA?
Effettivamente lo era, ma non gli sembrava quello il momento adatto a contraddire l’infermiera. E poi, finalmente, era uscito da quella situazione.
RIBADISCO IL CONCETTO: QUESTA È LA TIPA ADATTA A TE!


***


1 giorno prima

«Quindi domani ci lasci?» Sofia sorrise ma un velo di tristezza le passò sugli occhi.
«Sì, ho avuto anche l’okay della psichiatra. Dice che dovrò presentarmi due volte a settimana al C.P.S. ma che stavolta mi vede meglio. Forse è merito tuo…»
L’infermiera divenne rossa in viso.
VAI TRANQUILLO, FAI COME SE IO NON CI FOSSI!
«Ciò non vuol dire che non dobbiamo più vederci» azzardò Sofia.
«Che intendi, devo farmi ricoverare di nuovo?» chiese Alex.
NO, SCEMO. TI STA INVITANDO A USCIRE.
«Beh, no. Sto solo dicendo che fuori di qui c’è un mondo…»
Alex la guardò interdetto. Frequentava gli ospedali da una vita ma non avrebbe mai pensato che dentro ci avrebbe potuto trovare qualcosa più di una scarica di psicofarmaci.
«Certo…» balbettò.
«Allora è deciso, domani stasera ci vediamo da me a cena. Dubito che avrai qualcosa di commestibile a casa tua dopo dieci giorni di assenza.»
VERAMENTE È SEMPRE COSÌ.
Sofia afferrò un pezzo di carta e ci scrisse sopra qualcosa. «Questo è il mio indirizzo, ci vediamo alle venti» disse, porgendogli l’appunto.
QUESTA È STRANA…



***


Alex fece l’ultimo giro di nastro americano attorno ai polsi di Dario.
«Finito» disse alzandosi e osservando la sua creazione.
«Bravo, nello stesso mobile, nel cassetto accanto, troverai dei teli di plastica trasparenti. Prendine due.» La voce di Sofia non era minacciosa ma il fatto che non avesse ancora abbassato la pistola lo rassicurava poco.
SECONDO TE COSA SE NE FARÀ DELL’EX MARITO?
«Vuoi che chiami la polizia?» chiese Alex andando in cucina.
«No, per quello c’è tempo. Prima devo spiegare un paio di cose a questo qui!»
I teli erano dove gli era stato detto. Alex li prese e tornò in sala dove l’infermiera, con lo spago, aveva legato insieme il nastro delle caviglie con quello ai polsi di Dario, incaprettandolo.
«Credevi non mi aspettassi una tua visita?» stava chiedendo la ragazza all’ex marito che si scuoteva nel vano tentativo di liberarsi.
«Secondo te perché non ho cambiato la serratura? Ti aspettavo per fartela pagare, così com’è capitato agli altri…»
OKAY, QUESTA INIZIA A FARMI PAURA.
«Visto che mi spiavi qui sotto, non ti sei mai chiesto che fine facessero quelli che mi portavo in casa?»
CARO, SE LUI NON S’È MAI POSTO IL PROBLEMA MI SEMBRA IL CASO CHE SIA TU A FARLO. CHI SONO GLI ALTRI E CHE FINE HANNO FATTO?
«Scusa se ti interrompo, Sofia. Visto la piega che ha preso la serata io me ne andrei.» A dirla tutta non gli interessava degli altri, ma solo della sua di pelle.
«Hai ragione, mi spiace ci abbiano interrotti.» La ragazza abbassò la pistola e gli andò incontro. Lo raggiunse e si sollevò sulle punte per baciarlo.
«Possiamo sempre riprendere il discorso un’altra volta…» propose Alex.
Senza rispondere, lei poggiò le labbra su quelle di lui.
Un pizzico al collo lo scosse. Si ritrasse dal bacio e guardò Sofia che aveva una siringa mezza vuota nella mano sinistra.
«Ma cosa…» provò a chiedere cadendo all’indietro.
MI SA CHE TI HA DROGATO!
«Credi veramente che io mi sia bevuta la storiella della morte accidentale della tua ragazza? È sempre colpa di voi uomini se una donna viene uccisa!» Sofia aveva gli occhi fuori dalle orbite e un’espressione folle in viso.
NELLA SUA PAZZIA, LA RAGAZZA CI HA PRESO…
Alex provò ad alzarsi, ma il suo corpo aveva già smesso di rispondere.
«Non ti preoccupare, io non sono un uomo, non ti farò soffrire…»
Mentre la stanza attorno a lui spariva, Alex vide Sofia andare al mobile accanto al televisore, aprire un’anta ed estrarre una tuta da imbianchino macchiata di rosso.
Chiuse gli occhi, diventati troppo pesanti, e si cullò all’idea che presto tutto sarebbe finito. Grazie a quell’aiuto inaspettato stava mettendo fine alla sua vita e presto avrebbe riabbracciato Marica.
E PENSI CHE I TUOI GUAI SIANO FINITI? IO E TE ABBIAMO ANCORA DEI CONTI IN SOSPESO…

Il tatuaggio di Soti

1

Cazzo!

La cantina inizia a girare, forma un vortice e prova a risucchiarmi. Le punte dei capelli schizzano in aria, attirate dal centro della spirale.

Eh no, stavolta non me la caverò con quella specie di post sbronza delle altre volte.

Stringo i braccioli come fossi sulle montagne russe. Il dolore alla scapola mi fa impazzire, la vecchia sta usando la sabbia per tatuarmi?

Per fortuna oggi dovrebbe finirlo…

L’odore d’incenso e spezie mi riempie le narici e quella nenia ritmata, che continua a recitare, mi fa venir voglia di strapparmi le orecchie. O di strappare la lingua a lei…

Ho freddo.

La sedia traballa, il vortice è sempre più forte.

Vorrei urlarle di smetterla con quell’ago del cazzo, ma non controllo più la bocca.

Che sta succedendo?

Da lontano proviene un rumore profondo e sincopato: sembrano tamburi.

Mentre la situazione assume contorni sempre più surreali, riesco solo a pensare a nonna che mi ripete di non fidarmi degli sconosciuti. Certo, avrebbe potuto specificare che anche le vecchiette sono pericolose, soprattutto quelle che parlano di esoterismo, di streghe e ti invitano in cantina per un tatuaggio…

I tamburi hanno avuto il pregio di coprire la cantilena, ma ormai vedo solo un vortice di colori.

La sedia si ferma, il vento non soffia più.

Sono leggera.

2

Niko, il manico della padella stretto in mano, sollevò lo sguardo sull’orologio appeso alla parete. Entrambe le lancette nere puntavano il dodici dipinto a mano sul piatto raffigurante due trulli. Sua mamma teneva molto a quel cimelio di Alberobello e, nonostante fosse a ottocento chilometri da lì, sembrava potesse percepirne la presenza. Le rare volte che lui l’aveva sostituito con un più consono skyline londinese, puntuale, era arrivata la chiamata preoccupata di lei.

«E anche stasera si mangia soli…» bofonchiò Niko poggiando la pentola sul fuoco.

Afferrò la bottiglia d’olio, sporcò appena il fondo in metallo e, prima che il liquido diventasse troppo caldo, gettò sopra uno spicchio d’aglio.

Il rumore della chiave che entrava nella toppa richiamò la sua attenzione. Si voltò giusto in tempo per vedere la porta d’ingresso spalancarsi.

La schiena piegata in avanti, lo sguardo al pavimento e i lunghi dread biondi che le coprivano il volto, Soti irruppe in casa.

Niko mollò tutto e corse verso di lei. La raggiunse, le infilò un braccio sotto l’ascella e le cinse il fianco nel momento in cui si abbandonava.

Nonostante fuori ci fossero almeno quaranta gradi, era fredda.

Ringraziò il cielo che, almeno, Soti pesava poco.

La trascinò fino al divano e la fece sedere. Come aveva già fatto troppe volte negli ultimi giorni, le sfilò le scarpe rosse di tessuto.

Niko indietreggiò di mezzo passo e inspirò profondamente: la situazione gli stava sfuggendo di mano, Soti era messa peggio delle altre volte.

Le calze a rete erano strappate all’altezza del ginocchio, ma per fortuna non c’erano tracce di sangue. I pantaloncini di jeans, talmente corti che avrebbe causato uno scandalo della durata di un anno ad Alberobello, erano macchiati sul fianco. Solo il giubbotto in pelle sembrava integro. Lo sfilò e, per la prima volta, si accorse di un tatuaggio sulla scapola che raffigurava un sole.

Le adagiò la testa sul bracciolo, aiutandola a sdraiarsi. Con le dita tese, scostò il pugno di dread che le copriva il volto.

«Hey, Soti» la chiamò con voce tremula.

«Sotiria, sveglia!» riprovò.

Con la mano libera le carezzò la guancia, cercando di trasmetterle un po’ di calore.

Gli occhi della ragazza tremarono e si schiusero mostrando le iridi azzurre immerse in un mare rosso di sangue.

«Brucia…» sussurrò lei, muovendo appena le labbra.

Niko si piegò in avanti per comprendere meglio la voce esile.

«Hai caldo?» le chiese, credendo così di dare un senso ai vestiti bagnati.

«La pentola…» Soti sollevò appena la mano e indicò un punto alle spalle dell’amico.

Niko scattò in piedi, trattenendo un’imprecazione tra i denti serrati, e si voltò. Il piano cottura era scomparso dietro un nuvolone scuro: quella sera avrebbe saltato la cena.

3

Aver visto Niko mi rincuora, anche se non capisco che mi sta succedendo.

Ho come la sensazione di continuare a entrare e uscire dal mio corpo. Quando sento di poter riprendere il controllo, come pochi attimi fa, il freddo mi aggredisce. Ma dura poco, il vortice torna e diventa tutto impalpabile.

L’unica nota positiva è che Niko non mi spedirà in ospedale, le istruzioni che la vecchia mi aveva detto di dargli erano precise.

No Pronto Soccorso.

Niente medici.

Solo riposo.

Ammetto che mi erano sembrate esagerate come indicazioni, ma la vecchia era sempre stata così carina…

In questo momento rimpiango la mia passione per l’occulto, ma cavolo quant’erano belle quelle reliquie.

Come una tossica che fiuta lo spacciatore, quando l’ho incontrata al parco ho notato subito il ciondolo a forma di ragno stilizzato al collo della vecchia e da lì sono partiti fiumi di parole tra noi. Scoprire che anche lei era di Alberobello mi ha fatto abbassare le difese.

Vai a sapere che nel giro di tre giorni mi avrebbe conciata così.

Il freddo torna, sto per rientrare nel mio corpo. Eppure c’è qualcosa di strano, non mi sento… a casa.

Una luce mi abbaglia.

Attorno a me qualcuno parla di vacanze fatte, o da fare.

Non riconosco le voci.

C’è odore di candeggina.

Una mano blu compare dal nulla e intralcia la luce che sembra provenire da una lampada circolare.

Una mascherina mi copre naso e bocca.

«Dottore, partiamo con l’anestesia?» chiede la voce giovane di una ragazza.

«Sì.»

Tutto diventa buio.

4

Soti, sdraiata sul divano, aveva smesso di agitarsi. In un primo momento, Niko aveva avuto l’istinto di portarla in Pronto Soccorso ma si era fermato, sapeva che l’amica non avrebbe apprezzato.

Sbuffò e afferrò il tramezzino che si era preparato: prosciutto, caciocavallo e maionese. Un toccasana per riprendere lo studio notturno.

Spalancò la bocca e pregustò il pasto. Due colpi secchi alla porta d’ingresso lo bloccarono.

«Vediamo chi è arrivata per prima…» Adagiò il panino sul tovagliolo aperto sul tavolo e si alzò.

«Arrivo!»

Attraversò la stanza, fece girare le chiavi nella toppa e aprì.

«Che succede stavolta?» Aminah irruppe in casa. Si guardò attorno e puntò decisa il divano.

«Da quanto sta così?» chiese, poggiando la borsa da medico, che teneva in mano.

Niko guardò l’orologio sul muro.

«Quindici minuti» rispose, impalato sulla porta, mentre l’amica premeva l’indice e il medio sul polso di Soti.

Era felice fosse lei la prima a essere arrivata. Da anni aveva una cotta per Aminah e non gli dispiaceva vederla piombare in casa in piena notte. Aveva sempre sognato il momento in cui, coraggio alla mano, l’avrebbe fissata negli occhi verdi incassati nel viso d’ebano, così duro nei lineamenti eppure altrettanto affascinante, e le avrebbe chiesto di uscire con lui.

Ma non l’aveva mai fatto e, per ora, doveva accontentarsi di quelle visite d’emergenza.

«Spostati!»

Stella urtò Niko con la spalla, lo fece arretrare di qualche passo e irruppe in casa,.

La migliore amica di Soti corse al suo capezzale.

«Come sta?» chiese ad Aminah.

«I parametri sono buoni, però devo sapere cosa si è calata…»

«Nulla!» Stella, con fare drammatico, si ritrasse e portò la mano al petto. Il seno prosperoso, coperto dal vestito a fiorelloni lungo fino alle caviglie, sobbalzò.

«Non ne ho idea, ha giusto fatto in tempo a entrare in casa, poi è svenuta» rispose Niko, chiudendo la porta di casa.

«Ditemi almeno che le avete fatto fare quei prelievi…» disse Aminah scuotendo il capo.

Niko abbassò lo sguardo per sfuggire a quegli occhi che tanto gli piacevano ma che, in quel momento, fiammeggiavano d’ira.

Stella iniziò a giocherellare con la collana.

«Non è difficile. Avete l’impegnativa, dovevate solo portarla a fare quel cavolo di prelievo. Vi chiedo troppo?»

«No» sussurrò Niko, fissandosi la punta delle scarpe.

«A dire il vero, Soti ha detto niente ospedali… e niente medici!» Stella mollò la collana e si mordicchiò il pollice.

«Non sono ancora un medico, mi mancano tre esami.» Aminah lanciò un’occhiataccia all’altra ragazza. «Però una cosa la so anch’io: Soti non può stare qui, dobbiamo portarla in Pronto Soccorso!»

«No!» Questa volta il diniego di Niko arrivò quasi urlato. «Lei non vuole!»

«Perché?»

«Perché non crede alla medicina tradizionale» Si intromise Stella.

«Veramente quella sei tu…» Niko si pentì immediatamente di aver pronunciato quella frase.

Il volto di Stella divenne rosso fuoco, assunse dodici espressioni diverse che andavano dallo sconcerto all’ira, e si stabilizzò sulla modalità stizzita. Sollevò il mento e guardò un punto imprecisato dall’altra parte della stanza.

«Io e Soti siamo grandi amiche, per questo abbiamo idee simili…»

Niko si limitò a scuotere la testa.

«Mettiamo caso che non si tratti di droghe…» riprese a parlare Aminah «potrebbe essere epilessia. Ci sono tante forme che non prevedono crisi tonico cloniche…»

La studentessa di medicina si alzò in piedi si parò davanti a Niko. Era più alta di lui di almeno dieci centimetri. Gli poggiò una mano sulla spalla e si fece ancora un po’ avanti.

«Dammi retta, non è come le altre volte. Non risponde allo stimolo doloroso, dobbiamo portarla in ospedale.»

Niko abbassò nuovamente lo sguardo, indeciso.

«Chiamo il 112?» chiese Aminah.

«Ti ho detto di non farlo» rispose Stella.

5

Esplosioni di luci colorate mi abbagliano.

Fluttuo distante dal mio corpo.

Non sono più in ospedale, attorno a me percepisco altre persone.

Niko e il suo calore quasi fraterno. Aminah e la sua volontà ferrea. Stella e la sua esuberanza.

E poi… c’è qualcosa che non comprendo. Nonostante la presenza dei miei amici non mi sento al sicuro: qualcosa mi sorveglia.

È una presenza ingombrante.

C’era anche quando ero sdraiata in quella sala operatoria, ne sono certa.

Dev’essermi rimasta aggrappata addosso.

Ho di nuovo freddo e la scapola ricomincia a farmi male.

Possibile che io sia morta?

Spero per lei che sia così, altrimenti quella vecchiaccia avrà parecchie cose da spiegarmi…

6

Niko, seduto su uno sgabello nella sala d’attesa del Pronto Soccorso, accanto alla macchinetta degli snack, era impegnato a spolparsi le nocche: Aminah non era ancora tornata.

L’unica nota positive era che Stella, infuriata con loro, cercava di sbollire la rabbia consumando le scarpe a furia di passeggiare nel parcheggio.

Una ragazza, all’incirca della sua età, dormiva rannicchiata su una sedia. Di tanto in tanto un uomo, probabilmente suo padre, arrivava portandosi dietro l’odore di tabacco, le si avvicinava e sistemava la giacca con cui l’aveva coperta.

Con lamenti continui, e fitte sempre più forti, lo stomaco protestava per l’assenza di cibo.

Niko infilò per l’ennesima volta la mano in tasca e rovistò alla ricerca di una moneta che sapeva di non avere. Corrugò la fronte e lanciò un’occhiataccia al cambia monete con il display rosso del “Fuori servizio”.

La porta della zona emergenze si spalancò e uscì Aminah.

Si era infilata il camice bianco che usava per il tirocinio ed era ancora più bella del solito.

La ragazza lo raggiunse.

«Stella non è ancora rientrata?» chiese.

«No, lo sai che è contro gli ospedali…»

«Già…» Aminah si guardava attorno, come se controllasse che non ci fosse nessuno. «Recuperala, ci vediamo all’ingresso dipendenti…» disse, mordicchiandosi il labbro inferiore, e si voltò per allontanarsi.

Niko si sporse in avanti e l’afferrò per il polso.

«Sta bene?» chiese.

Non era abituato a vedere l’amica così nervosa.

Aminah si passò la lingua sulle labbra, inspirò profondamente e lo guardò di tralice.

«C’è qualcosa che non mi torna, per questo ho bisogno di voi…»

7

Cazzo!

Lo sapevo.

Solo io riesco a infilarmi in queste situazioni di merda.

Mi sono fatta abbordare al parco da una vecchia pazza, l’ho ascoltata farneticare di magia, forze oscure, streghe… devo aver detto anche qualcosa tipo: “Anch’io voglio essere una strega”.

Ma come ho fatto ad accettare di farmi tatuare?

Nel suo scantinato poi…

Devo avere la malaria, o qualcosa del genere.

Forse il tetano…

Però devo ammettere che non è male come tatuatrice; nonostante le manine rachitiche e un accenno di parkinson, ieri ho intravisto il disegno incompleto sulla scapola, allo specchio, e mi piaceva.

Peccato solo che ora sia prigioniera in questo nulla.

C’è stato un momento in cui ho creduto di riprendere il possesso del mio corpo. Poi è sparito di nuovo tutto.

Mi sento come se fossi chiusa in una scatola e fuori ci fosse qualcosa di brutto a fare la guardia.

8

Niko conosceva l’ingresso dipendenti dell’ospedale perché ci aveva accompagnato qualche volta Soti. Quando arrivarono davanti alla pota a vetri, Aminah li stava già aspettando.

«Adesso mi dici cosa sta succedendo!» esordì Stella, le mani ai fianchi e la testa che ciondolava.

«Vi spiegherò tutto mentre andiamo…»

«Dove?» chiese Niko, ma le due ragazze erano già entrate. Dovette correre per raggiungerle.

«Ho una buona notizia: tutti gli esami di Soti sono negativi.» disse Aminah accompagnandoli lungo il corridoio che univa il corpo centrale dell’ospedale al Pronto Soccorso.

«Te l’ho detto che non serviva portarla qui…» Stella gonfiò il petto in segno di vittoria.

«Già, inizio a crederlo anch’io…»

Niko quasi trasalì sentendo Aminah dare ragione all’amica.

«Fatto sta che c’è qualcosa che non mi torna. Tramite un amico ho letto la cartella di Soti e non riesco a capire perché l’abbiano portata in sala operatoria.»

Niko andò a sbattere contro Stella, che si era bloccata di colpo.

«Cosa vuol dire sala operatoria?»

«Vogliono operarla, ma non riesco a capire il motivo. Ho chiesto al mio amico ma non ha saputo spiegarmelo.»

«Chi la deve operare? Chiedi a lui…» a Niko sembrava una soluzione così semplice.

«Avrei voluto farlo, ma non sapete quanto è stronzo il chirurgo. Lo odiano tutti e si dileguano quando avvistano il suo ciuffo rosso nei corridoi. Non c’è modo di chiedergli un favore.»

«Quindi, che facciamo?» Stella sembrò destarsi e ricominciò ad agitare la mano davanti al viso.

«L’unica cosa in nostro potere: Niko, suo fratello, chiederà un colloquio!»

«Ma…» provò a protestare lui.

«Non ti preoccupare, ho il foglio firmato dalla guardia che ha verificato la tua identità…» Aminah abbozzò un sorriso. «Non so perché, ma in ospedale mi adorano tutti.»

Il cinguettio di Aminah colpì Niko al cuore, dilaniandolo.

9

Sento il mio corpo vicino.

Sono ancora viva, ma non riesco a muovermi.

Devo essere in coma.

Qui da qualche parte dovrebbe esserci il tunnel da seguire…

O forse non andava seguito?

Poco male, tanto sono ferma in questo non mondo, che mi flesha luci in faccia nemmeno fossimo a un rave.

«Chi sei?»

O porca puttana, e adesso da dove arriva ‘sta voce?

«Sento che ti stai formando, è stata una fortuna incontrarti mentre sei in incubazione…»

Okay. Senti, Vocina nella testa, io non ho la più pallida idea di dove mi trovi, ma tirami subito fuori di qui!

«Certo che lo farò, ma non credo ti piacerà…»

Ci mancava solo la vocina stridula che mi minaccia…

10

«Chi è?» una voce maschile gracchiò dal citofono della sala operatoria.

Niko inspirò profondamente e fissò le due amiche, che annuirono.

«Sono il fratello di Sotiria Giannasso…»

I pochi secondi di silenzio che seguirono furono i più lunghi della vita di Niko.

«Cosa vuole?»

«Come cosa vuole? Apra la porta o la sfondo!» Stella era paonazza in volto e aveva gli occhi fuori dalle orbite.

«Non c’è bisogno di alterarsi. Arrivo…»

Un rumore secco chiuse la comunicazione.

«Ma vedi un po’ ‘sto qua…» Stella sferrò un pugno all’aria. «Fanno di quelle domande che ti vien voglia di…»

«Ti pregherei di non pestare nessuno. Io vorrei laurearmi…» Aminah fece spallucce e si nascose dietro Niko per evitare la reazione dell’amica che lo fulminò con lo sguardo.

«Dille che Soti è più importante della sua laurea…»

Il ragazzo annuì, spaventato.

11

Vocina nella testa, che fine hai fatto?

Niente da fare, anche la follia mi sta abbandonando e ancora non vedo nessun tunnel.

Però posso sentire le mie mani. È più un ricordo che il vero tatto, ma ci sono quasi.

La scapola inizia a bruciarmi: maledetto tatuaggio!

12

La porta della sala operatoria si aprì e uscì un uomo in camice blu.

«Che volete?» chiese, in maniera brusca.

Una gomitata sul costato risvegliò Niko, che stava cercando il ciuffo rosso del chirurgo sotto la cuffia colorata.

«Vorremmo delle informazioni su mia sorella» si affrettò a dire.

Niko, perché sento la tua voce?

«È tuo fratello?»

No, è il mio migliore amico.

Il chirurgo lo squadrò.

«Non sei suo fratello, non posso darti informazioni. Tornate quando ci sarà un parente, vero…»

Niko, aiuto!

L’uomo si voltò e fece per chiudere la porta, ma Stella fu lesta a bloccarla con il piede.

«Non ce ne andremo finché non avremo notizie…»

Stella, ci sei anche tu…

Aiutami, ti prego…

«Niko, Stella, fatemi fare il mio lavoro!»

Sentendo il proprio nome pronunciato da quello sconosciuto, Niko fece un passo indietro.

«E tu, vuoi veramente giocarti il tuo futuro per questi?»

Aminah poggiò la mano sulla spalla dei due amici, li scostò e superò la porta. Si guardò attorno e sorrise.

«Noi non ce ne andremo finché non ci dirà cosa sta succedendo. Perché non c’è nessuno con lei, opera solo?»

Aminah…

Il chirurgo si spostò e li fece entrare.

«Vi dirò tutto,

Poveri illusi!»

No, fermo!

Cos’è questa forza che sento?

È il mastino di prima ma è molto più potente.

Niko, Aminah, Stella: scappate, siete in pericolo.

«Cosa sta succedendo a Soti?» Stella avanzò minacciosa verso il chirurgo che, per nulla intimorito, si voltò dandole le spalle.

«Venite. Ho detto che vi avrei raccontato tutto. Farò di più: ve lo mostrerò…»

Attraversarono insieme una porta blu, spessa diversi centimetri, e si ritrovarono nella sala operatoria.

Soti era sdraiata, nuda, su un lettino al centro di un pentacolo tracciato col gesso sul pavimento.

«Cosa cavolo…» le parole di Niko uscirono accompagnate da nuvole di condensa.

Alcuni neon esplosero.

Niko afferrò Stella e la trasse a sé, allontanandola dall’uomo. Al suo fianco, Aminah si acquattò a terra con le mani a protezione sulla testa.

Lasciali stare!

«Goditi lo spettacolo. Non puoi vederlo ma le urla ti dovrebbero bastare…»

Gli ultimi neon scoppiarono e una folata di vento investì Niko.

I piedi si staccarono dal pavimento e volò contro la parete alle sue spalle.

L’impatto gli mozzò il fiato. La vista si appannò e sentì l’urlo straziante di Stella.

Lasciali stare, bastardo!

Bastaaa!!!

13

Sono in piedi sul lettino di una sala operatoria. Niko e Aminah a terra, Stella sospesa a mezz’aria.

«Ti ho detto di lasciarli stare!» urlo.

Salto verso l’uomo con il camice blu e la cuffietta colorata. O forse volo, non lo so. Perché sono ancora leggera, ma stavolta un corpo ce l’ho.

L’uomo si volta e spalanca la bocca. Avrà almeno un centinaio di denti disposti su più file. La pelle incartapecorita e gli occhi gialli.

Dovrei essere spaventata, ma sono troppo incazzata per rendermene conto.

E poi mi sento forte.

Lui si scaglia verso di me, le mani protese in avanti.

È lento.

Scanso di lato, lo afferro per il polso e lo strattono.

Però non lascio la presa.

Sollevo la gamba, poggio il piede sotto la sua ascella e tiro il braccio verso di me: mi rimane in mano persino la spalla.

Il resto dell’uomo cade a terra.

Stavolta è lui a urlare.

«Ti fa male?» chiedo.

Lui non risponde e riparte all’attacco.

Probabilmente la colpa è dello stress accumulato. Un’idea malsana mi attraversa la mente ed è subito in atto: colpisco il mio avversario brandendo il suo braccio.

Prima al ginocchio e lo faccio cadere a terra.

Poi in volto.

Una, due, tre volte.

E ancora.

E ancora.

Finché mi accorgo che è rimasto un corpo inerte senza testa.

Mi fermo, lascio cadere il braccio sulla carcassa e mi giro verso i miei amici.

Hanno strane espressioni dipinte in volto. Tra lo spaventato e il terrorizzato.

«Soti, stai bene?» la voce di Aminah trema impercettibilmente. Mi viene incontro, ha un lenzuolo in mano con cui mi copre.

Stella ci raggiunge, mi abbraccia e rifila un calcio al cadavere.

«Bastardo!» sibila mentre quello si scioglie lasciando una poltiglia appiccicaticcia a terra.

Niko è ancora immobile, gli occhi sgranati e la mascella spalancata.

«Hai intenzione di startene lì impalato tutta la notte?» lo stuzzica Aminah.

Lui scuote il capo e fa spallucce.

«Io vorrei cenare» piagnucola.

Scoppio a ridere e annuisco.

«Però prima mi accompagnate in un posto…»

14

«Sai che potevamo morire?» chiedo.

La vecchia è seduta sul divano con gli occhi impastati dal sonno.

Non potevo aspettare che fosse mattina.

«Avevo detto: niente ospedale. Sapevo che quel coso si stava nutrendo dell’energia dei pazienti.»

«Colpa mia…» Aminah solleva la mano.

Le sorrido. «Non importa di chi è la colpa. Sta di fatto che mi hai fatto qualcosa senza avvisarmi…»

«Te l’ho detto più volte che ero una strega e che saresti stata la mia pensione.»

«Credevo fossi solo una pazza.»

«Beh, non è così. Ora tu hai i miei poteri…»

«E che devo fare?»

«Quello che faccio io da sempre: sorvegli.» La vecchia afferra una piccola confezione di latta e la scoperchia. «Biscotti?» chiede.

«Sì!» Niko si fionda sulla preda come un felino.

«Ma se non so fare nulla.»

«Imparerai.»

«E come?»

«Con quelli…» L’anziana si gira e indica una pila di libri che non avevo notato.

«E tu non mi aiu…» non faccio in tempo a finire la frase. La vecchia svanisce sotto i miei occhi.

Mi alzo e raggiungo il divano, al suo posto è rimasto un depliant di Honolulu.

«E ora?» chiedo voltandomi verso i miei amici.

«Io andrei a mangiare» dice Niko.

«Passo» risponde Aminah, andando verso l’uscita «Domani sono in ospedale.»

«Io ci sto!» Stella sorride.

«Andiamo.» Mi alzo, guardo la pila di libri e sbuffo. «Però torniamo presto, mi attendono sessioni di studio straordinarie!»

Giuro di essere fedele alla Repubblica…

Giorgio si strinse nelle spalle, nascose la valigetta sotto il paltò e si infilò tra i giornalisti fermi davanti al Quirinale.

«A ‘stoggiro lo fanno il governo.»

«Lo dizi da agosto.»

«Silenzio, stanno aprendo il portone, magari esce qualcuno…»

Giorgio schivò due cameraman, scavalcò una transenna e ricadde di faccia sul piazzale a pochi passi da “Spelacchio trentaseiesimo”. Una pallina rossa si sganciò dallo scheletro di un ramo e gli cadde sulla testa. Continua la lettura di Giuro di essere fedele alla Repubblica…

La vita è condividere

Mi blocco, sollevo le mani e osservo i palmi: tremano.
«Non ora, Silvia!» mi rimprovero.
Inspiro e cammino decisa verso lo specchio grande. Mi guardo e soffio via una ciocca di capelli rosa da davanti alla fronte. La canottiera è troppo stretta e i pantaloncini troppo corti, ma con Marco sono al terzo appuntamento, non posso presentarmi per l’ennesima volta vestita come Katniss di Hunger Games; è arrivato il momento di Alice di Resident Evil.
Faccio l’occhiolino e mi vedo bella, molto più di quelle stronzette della mia scuola. «Sarò pure l’unica vergine di quella classe di puttanelle, ma vale la pena aspettarmi.» Mi strizzo le tette e mi vergogno. Non riesco ad essere come loro nemmeno se mi impegno.
Espiro e recupero la giacca, meglio coprirsi mentre esco. Apro leggermente la porta della cameretta e resto in attesa, non sembra esserci nessuno in sala. Continua la lettura di La vita è condividere